Un’amabile presenza: la memoria di Matilde

C’è un fascino mistico, quasi proibito, nell’assenza che si crea quando una persona muore.

Si cercano i segnali della sua esistenza tra le cose che ha lasciato, oggetti terreni, inanimati, ma ancora intrisi di profumi e impronte.

E si finisce sempre con il percepire qualcosa che con gli oggetti spesso ha poco a che fare, una sensazione alla quale è difficile dare un nome, ma che ci attraversa in pieno come una folata di vento primaverile, facendoci rabbrividire e provando una di quelle emozioni capaci di scavare dentro.

Qualcuno la chiama semplicemente energia.

Antoine Laurent Lavoisier, nella sua celebre frase nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, non aveva forse riassunto così il ciclo della vita?

Matilde è una amabile ragazza proveniente da una famiglia del ceto medio della Torino degli anni ‘40, che sposa in giovane età, come da consuetudine per l’epoca, Aldo, un bravo quanto instancabile tecnico esperto in meccanica.

La coppia di sposini conduce una vita tranquilla, modesta ma dignitosa, fino a quando intorno agli anni ‘60 Aldo diventa un affermatissimo produttore di materiale meccanico, con tanto di brevetti approvati: ad Aldo impegno e inventiva non mancano di certo, cosa che gli permette di crearsi una posizione di successo.

Nonostante il raggiungimento di uno status sociale più elevato, Matilde conserva uno spirito amabile e un buongusto spiccato per le cose semplici, ma di classe.

La coppia, senza figli, rimane a Torino per tutta la vita, ma come premio per un’esistenza fatta di sacrifici e di intenso lavoro, decide di comprare una piccola casa a Cantoira, nelle Valli di Lanzo, all’epoca località amena e molto amata dai piemontesi.

Lo stesso buongusto con cui Matilde arreda l’appartamento in città, viene replicato in quella casetta immersa nel bosco, tra le vallate che portano in Francia, quasi a voler confermare una felicità che l’ha accompagnata per tutta la vita.

Matilde ad un certo punto rimane vedova, Aldo se ne va, e lei, prosegue la sua esistenza con serenità, dedicandosi in special modo ai gatti, che disegna e fotografa con passione.

Termina anche l’esperienza terrena di Matilde, che lascia a lontani cugini, rintracciati dopo le opportune indagini, un’eredità cospicua.

Quanto a quell’energia che ha colpito gli esperti di Coutot-Roehrig entrando nell’appartamento di Torino e nella casetta del bosco durante le operazioni di valutazione del patrimonio, quella sensazione di rassicurante serenità, ancora oggi non ha una vera spiegazione.

Qualcosa di Matilde è rimasta tra gli oggetti belli, le fotografie dell’amato gatto e gli arredi di classe, a riempire l’assenza di un’amabile signora. In fondo, un buon genealogista, non si limita soltanto a consegnare patrimoni ereditari agli eredi, ma deve anche valorizzare e affidare la memoria di colui che quell’eredità l’ha costruita giorno per giorno.