Articoli

La memoria dei giganti della Terra

Indimenticabili abitanti delle foreste della Terra di Mezzo, nel Signore degli Anelli di Tolkien, accoglienti rifugi per le meditazioni di Siddharta, come raccontato da Hesse, fratelli saggi per i nativi americani e anello di congiunzione all’universo per i misteriosi sciamani, ma anche tenaci difensori della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts nei personaggi spaventosi dei platani picchiatori della Rowling, nella celebre saga di Harry Potter.

Tra mitologia e narrazione, fantasia e realtà, un tempo la Terra ferma era completamente ricoperta di alberi, che ancora oggi, con le loro radici, rami, foglie e frutti, accompagnano l’uomo nel suo breve passaggio in questa fugace dimensione terrena.

Non è inusuale quindi trovarli nei lasciti più importanti, quelli che includono case padronali e tenute, ben alloggiati in parchi naturalistici secolari, testimoni della vita di intere generazioni: venuti da chissà dove, piantati ancora gracili, cresciuti insieme ai primi bambini di famiglia, spettatori di feste estive e nevicate invernali, di temporali furiosi e di giornate assolate, di matrimoni e di funerali, e infine di cancelli che si chiudono in attesa di tempi migliori.

Bisognerebbe prendersi il tempo per conoscerli uno a uno, per apprezzarne le caratteristiche e comprenderne i silenzi, perché tutti, ma proprio tutti, hanno una storia da raccontare.

La famiglia della signora Beatrice, ai primi del Novecento, invogliata dal creare un contesto che potesse esprimere al meglio uno status sociale elegante, oltre alla bella villa curata in ogni dettaglio, ha incaricato la realizzazione di un giardino importante, dove piante e fiori seguissero una puntuale architettura paesaggista degna di un dipinto dell’Ottocento.

E tra quelle magnolie, la sequoia, molte camelie, le immancabili rose, alcuni salici e cipressi, ecco lui, che tutti hanno iniziato a chiamare pino gigante quando ha raggiunto i suoi 40 metri di altezza, ma che in realtà pino non è.

Originario dell’Himalaya, dove cresce a partire dai 1500 metri di altitudine popolando intere foreste, il cedro Deodara ha iniziato ad abbellire ville e giardini in Italia oltre un secolo fa; cugino di altri giganti come il cedro del Libano, il cedro dell’Atlante e il cedro di Cipro, la sua imponente bellezza ha stregato l’uomo fin dalle origini, tanto che, se nel nord Italia veniva scelto perché in grado di raggiungere dimensioni stupefacenti, in India da sempre svolge un ruolo religioso spirituale fondamentale.

E tanto si è radicato negli anni nella mente collettiva, da essere diventato il simbolo perfetto del Natale, con la sua tipica forma piramidale, ideale per essere addobbato a gran festa con balocchi, nastri, doni e luci colorate.

Il Deodara però nasconde un segreto: le sue radici poco profonde, quasi superficiali, lo rendono molto fragile ed esposto alle bufere di vento, durante le quali rischia ogni volta di perdere ancoraggio e di sbilanciarsi, precipitando a terra.

Questo non accade se condivide il suolo con altri esemplari come lui, ai quali si aggrappa per resistere a ogni intemperia: questi giganti si sostengono a vicenda, ondeggiando nel vento flettendosi, sopportando il peso della neve senza rompersi.

Un po’ come dovrebbe fare l’essere umano.

Il Deodara della signora Beatrice, quasi centenario, ha resistito straordinariamente da solo, sfidando gli anni e il vento, meritandosi quel rispetto ossequioso degli eredi, che hanno deciso di preservare l’intero patrimonio naturale della villa.

Se non avete ancora addobbato i vostri alberi, veri o artificiali che siano, mettete sotto i loro rami un proposito per l’anno nuovo: rimanete uniti, solo così si affrontano le tempeste.

La sacralità dl bosco

La sacralità del bosco. Un lascito inaspettato

La foresta più bella, se pur minore, il cosiddetto Bosco Vecchio, era stata completamente rispettata.

Dino Buzzati (Il segreto del Bosco Vecchio)

Protagonista di favole per bambini e adulti, il bosco è un luogo senza tempo, dove folletti danzanti animano la natura, il vento compone sortilegi musicali, i fanciulli affrontano prove terrificanti per diventare uomini, e gli uomini, non senza fatica, recuperano l’elemento magico, tornando per un attimo fanciulli: è così che si compie la ciclicità della vita, ed è qui che l’essere umano, altrettanto ciclicamente, fa ritorno, ogni volta con genuino stupore.

Trovare dei terreni boschivi al centro di un lascito, non solo non cessa di stupire, ma suscita un profondo rispetto verso un mondo antico ma misteriosamente familiare, che va a toccare le corde di una sorta di memoria collettiva a cui la maggior parte delle persone appartiene.

Ereditati dalla famiglia materna, i boschi di Mario sono l’espressione di un universo contadino semplice quanto prezioso, e diventano i testimoni del passaggio di stagioni, di generazioni, di intere epoche, fino ad arrivare ai giorni nostri, in uno straordinario viaggio nel tempo dove, dopo l’oblio dei secoli, tornano a conquistare l’uomo con richiami ancestrali.

Vissuto in affitto per tutta la vita a Torino, senza mai sposarsi e senza una discendenza diretta, Mario, alla sua morte, risulta proprietario di decine e decine di appezzamenti nelle Langhe, dove i vigneti si snodano su colline che degradano dolcemente a perdita d’occhio, e le macchie boschive di noccioli e castagni celano i tartufi più rinomati d’Italia.

Luoghi metafisici ma nel contempo molto fisici, dove si respira un’atmosfera sacra, ma anche l’odore intenso della terra, del fogliame e delle cortecce.

Luoghi che ritrovano un affetto quasi doveroso, per un certo tempo smarrito, ma oggi più che mai riscoperto.

E la foresta più bella, anche la più piccola o la più frammentata, come nel caso di Mario, torna a essere di nuovo rispettata.

Un'eredità verde. L'eredità di Giovanna.

Un’eredità verde

Un’eredità particolare: la storia di un’eredità verde. L’eredità di Giovanna.

Zucche che si trasformano in carrozze, mele avvelenate, foreste oscure con alberi magici, pozioni a base di erbe segrete, piante di fagiolo che, crescendo a dismisura, arrivano fino al cielo: il mondo delle fiabe è ricco di Natura, che spesso finisce per diventare protagonista delle avventure più fantasiose, insieme agli altri personaggi.

Dall’origine dei tempi, le piante e gli alberi hanno sempre accompagnato l’uomo, sopravvivendo in molte occasioni al passare dei secoli e diventando testimoni silenziosi, loro malgrado, di intere epoche. La signora Giovanna ha di certo amorevolmente accudito le due piante grasse che teneva sul balcone, arrivate chissà come in famiglia e cresciute, discrete e pazienti, all’ombra di tante vicissitudini che una normale esistenza comporta. Un bel matrimonio, un tenore di vita soddisfacente, alcune case oltre all’appartamento principale, e una tranquillità economica che completano un quadro più che sereno. Giovanna arriva sola al termine della sua esperienza terrena, suo marito Luigi l’ha preceduta di qualche anno, e così in quell’appartamento, e su tutti gli effetti personali, cala per un certo periodo l’oscurità.

Vengono rintracciati gli eredi, lontani cugini, e iniziano le operazioni di sopralluogo: si riaccendono le luci in casa, si valutano mobilio e suppellettili, e si fa una scoperta: sul balcone, ormai allo stremo delle forze, ci sono loro, le due piante grasse, vive ma provate, orfane di cure. Vengono così tratte in salvo, dedicando loro quel muto rispetto che si riserva alle forme di vita in difficoltà, un rispetto avulso da interessi di qualsiasi tipo, e accompagnato da un sentimento che rimanda alle origini, quando ancora l’uomo viveva in simbiosi con la Natura.

Difficilmente ci si imbatte in eredità “vive”: si toccano storie straordinarie, speciali, talvolta drammatiche, e si ricuciono famiglie che si erano perse, ma in questa particolare vicenda, Coutot-Roehrig ha dovuto fare i conti con mezzo secolo circa di linfa e radici.

Le due piante, rinvigorite, sono state così affidate a nuove famiglie, pronte per vegliare su nuove storie e nuove vite, sempre in modo discreto e silenzioso, come nelle migliori favole.

Il segreto di Luisa: la storia della sua eredità

Il primo puzzle è stato realizzato nel 1767 grazie a John Spilsbury, un cartografo e precettore inglese che, per stimolare i propri allievi, decise di fissare un planisfero a un piano di legno, per poi separare con un seghetto, seguendone tutti i confini, le singole nazioni.

Ai ragazzi venne dato il compito di ricomporre la mappa del mondo, unendo i vari pezzi. La trovata ebbe così tanto successo, che Spilsbury realizzò nuovi rompicapi geografici, spaziando dall’Europa all’Asia, e il resto è storia. Coutot-Roehrig, nel risolvere l’intricato mistero della signora Luisa, non dovette andare così lontano, ma sebbene rimase nel territorio piemontese, affrontò quello che si potrebbe definire un puzzle spazio-temporale di tutto rispetto.

Siamo a Torino, a cavallo tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70, e Luisa è una signora la cui vita è pacata, tranquilla, ma soprattutto solitaria, tanto che alla sua dipartita il suo appartamento e il suo conto corrente rimangono per un certo periodo sospesi, in attesa di un legittimo beneficiario. Individuati i lontani cugini, totalmente all’oscuro dell’esistenza della signora Luisa, iniziano le pratiche del caso per poter perfezionare il lascito, ma ecco che dal Comune di Fenestrelle, piccolo e suggestivo abitato della Val di Susa, arriva una telefonata che mescola le carte in tavola, trasformandole nei tasselli di un intricato puzzle. Quella signora così cortese quanto discreta, soleva trascorrere buona parte delle sue vacanze in un minuscolo alloggio di uno stabile di Fenestrelle; due stanze più il bagno, per la precisione, in quella che un tempo probabilmente fu una portineria.

Sul perché non risultasse quel minuscolo alloggio nell’elenco dei possedimenti della donna, nell’immediato non viene trovata una plausibile spiegazione. Dopo una meticolosa indagine e qualche preziosa intuizione, emerge finalmente la soluzione: Luisa comprò quella minuscola dimora, esattamente a misura della propria solitaria esistenza, nei primi anni ‘70, esaudendo il desiderio di avere un appoggio in un luogo di villeggiatura.

Fenestrelle, con il suo maestoso forte arrampicato saldamente sul crinale della montagna per oltre 3km, i suoi scorci mozzafiato sulla Valle di Susa e sul pinerolese, e la storia che trasuda da ogni pietra, deve essere sembrato il posto ideale dove ritemprarsi in serenità, lontano dalla caotica Torino. Ma a quella compravendita del tutto regolare, non seguì l’iscrizione al catasto, così che di quelle due stanze intestate alla signora Luisa non vi era di fatto alcuna traccia.

Svelato l’arcano, risolto il rompicapo: una volta regolarizzata la situazione, Coutot-Roehrig ha potuto consegnare ai legittimi eredi anche quella piccola proprietà.

E tanto deve essere stato il fascino di quelle due stanze che, a dispetto della distanza geografica dei lontani cugini, alcuni di loro hanno avuto piacere di visitare più volte il piccolo segreto della Signora Luisa, mantenendolo punto di riferimento all’estremo confine nord dello stivale e luogo di contatto tra la terra e il cielo.

Un’amabile presenza: la memoria di Matilde

C’è un fascino mistico, quasi proibito, nell’assenza che si crea quando una persona muore.

Si cercano i segnali della sua esistenza tra le cose che ha lasciato, oggetti terreni, inanimati, ma ancora intrisi di profumi e impronte.

E si finisce sempre con il percepire qualcosa che con gli oggetti spesso ha poco a che fare, una sensazione alla quale è difficile dare un nome, ma che ci attraversa in pieno come una folata di vento primaverile, facendoci rabbrividire e provando una di quelle emozioni capaci di scavare dentro.

Qualcuno la chiama semplicemente energia.

Antoine Laurent Lavoisier, nella sua celebre frase nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, non aveva forse riassunto così il ciclo della vita?

Matilde è una amabile ragazza proveniente da una famiglia del ceto medio della Torino degli anni ‘40, che sposa in giovane età, come da consuetudine per l’epoca, Aldo, un bravo quanto instancabile tecnico esperto in meccanica.

La coppia di sposini conduce una vita tranquilla, modesta ma dignitosa, fino a quando intorno agli anni ‘60 Aldo diventa un affermatissimo produttore di materiale meccanico, con tanto di brevetti approvati: ad Aldo impegno e inventiva non mancano di certo, cosa che gli permette di crearsi una posizione di successo.

Nonostante il raggiungimento di uno status sociale più elevato, Matilde conserva uno spirito amabile e un buongusto spiccato per le cose semplici, ma di classe.

La coppia, senza figli, rimane a Torino per tutta la vita, ma come premio per un’esistenza fatta di sacrifici e di intenso lavoro, decide di comprare una piccola casa a Cantoira, nelle Valli di Lanzo, all’epoca località amena e molto amata dai piemontesi.

Lo stesso buongusto con cui Matilde arreda l’appartamento in città, viene replicato in quella casetta immersa nel bosco, tra le vallate che portano in Francia, quasi a voler confermare una felicità che l’ha accompagnata per tutta la vita.

Matilde ad un certo punto rimane vedova, Aldo se ne va, e lei, prosegue la sua esistenza con serenità, dedicandosi in special modo ai gatti, che disegna e fotografa con passione.

Termina anche l’esperienza terrena di Matilde, che lascia a lontani cugini, rintracciati dopo le opportune indagini, un’eredità cospicua.

Quanto a quell’energia che ha colpito gli esperti di Coutot-Roehrig entrando nell’appartamento di Torino e nella casetta del bosco durante le operazioni di valutazione del patrimonio, quella sensazione di rassicurante serenità, ancora oggi non ha una vera spiegazione.

Qualcosa di Matilde è rimasta tra gli oggetti belli, le fotografie dell’amato gatto e gli arredi di classe, a riempire l’assenza di un’amabile signora. In fondo, un buon genealogista, non si limita soltanto a consegnare patrimoni ereditari agli eredi, ma deve anche valorizzare e affidare la memoria di colui che quell’eredità l’ha costruita giorno per giorno.

Adalgisa la maestra e la sua eredità

Adalgisa: la maestra torinese e la sua eredità

Dalla indimenticabile scrittura di De Amicis nasce, tra i vari personaggi, la maestrina dalla penna rossa, omaggio gentile a Eugenia Barruero, maestra elementare di Torino a cui perfino La Domenica del Corriere dedicò un cameo nel 1957, quando morì.

E proprio a Torino, nello storico quartiere di Borgo Vanchiglia, si svolge la storia di Adalgisa, anch’essa maestra esemplare, che ha dedicato tutta la sua vita allo studio e ai libri.

Adalgisa nasce, vive e muore nell’antico borgo che guarda la Chiesa della Gran Madre, sulle rive del Po, in un appartamento molto bello, arredato con buon gusto, a due passi da Piazza Vittorio, salotto signorile del quartiere.

Non si è mai sposata, come spesso accadeva alle maestre di quell’epoca, dedite all’insegnamento e alla cultura, ma ha vissuto con la sorella, anch’essa insegnante, fino a quando lei è mancata, lasciandola sola.

Adalgisa, una volta in pensione, si è così definitivamente ritirata nella sua casa, circondata dai suoi amati testi di narrativa, filosofia e storia, in particolare storia italiana; nella stanza a cui era più affezionata, il suo studio, ha trascorso le giornate immersa in volumi e trattati, fino alla fine dei suoi giorni.

Adalgisa se n’è andata così, nel silenzio assordante dei suoi libri, talmente numerosi e ricercati da costituire un patrimonio di valore straordinario: i circa 400 volumi, trovati per lo più nella bella libreria del suo studio, e distribuiti in maniera più discreta in tutta la casa, rappresentano non solo una passione durata una vita, ma anche un lascito culturale di importanza rilevante.

Trovati i lontani eredi, due in Francia e due in Italia, dei quali solo uno aveva conoscenza della sua esistenza, non è rimasto, ai genealogisti di Coutot-Roehrig, che trasferire loro quel tesoro di sapere, insieme all’appartamento di Borgo Vanchiglia, ai lasciti bancari ed alcuni preziosi.

La ricercatezza culturale che ha composto negli anni la biblioteca di Adalgisa non è passata inosservata ai famigliari di uno degli eredi, particolarmente appassionati di libri, e diventati i beneficiari di un lascito culturale davvero unico.

Il buen retiro della Riviera dei Fiori: Claude e Adeline

Ogni anno e per tutto l’anno, inverno incluso, la Riviera dei Fiori, quel tratto di costa che da Capo Mimosa arriva fino a Ventimiglia, spicca per la sua straordinaria varietà di colori e fioriture, per il suo clima gentile e per i suoi panorami mozzafiato.

E forse è proprio per questo carosello di profumi e sfumature, che Claude e sua moglie Adeline hanno pensato alla Riviera dei Sogni come a quel luogo ideale dove trascorrere il periodo della vita che comincia a stingere.

Claude in realtà quell’aria profumata e gentile l’aveva già nel dna: figlio di italiani, riceve in eredità dai genitori, storica famiglia di costruttori, un terreno in un piccolo borgo facente parte di quella zona magica della Liguria, dove decide di far erigere una villetta per le vacanze.

Ma l’Italia, e quella zona specialmente, in genere è così che si comporta: ti attira con la sua bellezza, ti vizia con i suoi scorci e il suo cibo, e finisce per rapirti, senza lasciarti più andar via.

Claude e Adeline iniziano così a pensare seriamente di eleggere quella dimora quale buen retiro per quando l’età comincerà ad avanzare, le vacanze diventano sempre più assidue, e tutti, nel borgo ligure, cominciano a conoscere quella famiglia francese così innamorata della Riviera.

I sogni fanno spesso a pugni con la vita reale, come spesso accade, e così prima muore precocemente il figlio della coppia e poco dopo anche Claude lascia la vita terrena.

Adeline continua a trascorrere molto tempo in quella grande casa, dalla vista straordinaria e piena di ricordi importanti, fino a che anche lei viene a mancare.

Ha inizio così un excursus curioso, che parte dalla Francia, a Marsiglia, dove la signora viveva, passando per l’Italia, e per la precisione nel borgo affacciato sulla Riviera dei Fiori, e terminando in Germania, dove l’unica discendenza di Adeline risiedeva.

Una successione difficoltosa, la cui complessità era data non solo dalle distanze, ma dalle diverse leggi dei Paesi coinvolti, e che solo la forza e la coesione della rete internazionale di Coutot-Roehrig ha potuto risolvere.

La collaborazione tra la filiale di Marsiglia, dove la successione si è aperta, quella di Torino, dove è stato gestito il patrimonio costituito dalla villa in Riviera, e quella di Strasburgo, per la rappresentanza degli eredi di Adeline, residenti in Baviera, ha permesso così non solo la ricostruzione di una eredità, ma anche quella di due ceppi famigliari che il destino aveva visto separarsi nel corso degli anni.

E a unire il ramo di Lione a quello della Baviera, lei, la Riviera dei Fiori, con il passo morbido della sua bellezza senza tempo.

 

 

 

Serendipità: il lungo viaggio di un’eredità

Esiste una parola ben specifica per definire quel momento in cui, cercando qualcosa, ci si imbatte in qualcos’altro di totalmente imprevisto, scollegato, ma non per questo meno bello, anzi forse di più.

È un po’ come quando si cerca in ufficio un documento molto importante e si ritrova quella spillatrice persa mesi prima e mai più riapparsa: ecco, la sensazione che si prova, la situazione che si vive, viene chiamata serendipità.

La storia di Giovanni, signore piemontese che viene a mancare senza eredi diretti, è il primo anello di un susseguirsi curioso di altre storie. Giovanni, che non si era sposato e non aveva avuto figli, aveva due fratelli, uno deceduto molto giovane, e un altro, sposato e mancato ai suoi cari 30 anni prima.

La ricerca degli eredi, beneficiari degli averi di Giovanni, porta in Belgio dove risiedono dei lontani cugini. Al momento della consegna del compendio, viene aperta una cassetta di sicurezza al cui interno vengono trovati dei buoni postali degli anni ‘70, non ancora scaduti.

In alcuni di questi è indicato il nome di uno dei fratelli di Giovanni e della consorte: la vedova rappresenta così un nuovo beneficiario da rintracciare, rendendo necessaria l’apertura di un ulteriore albero genealogico e relative indagini.

Si scopre così che la signora Luisa, cognata di Giovanni, non solo non si è mai più risposata, ma è mancata senza eredi diretti, non avendo avuto figli ed essendo a sua volta figlia di figli unici.

Le indagini in questo punto della storia subiscono un’accelerata: i buoni postali sono prossimi alla scadenza e occorre trovare al più presto gli eredi della signora Luisa.

Viene così finalmente rintracciato un parente di sesto grado, un uomo molto anziano ma ancora nel pieno delle proprie facoltà. Il signor Vittorio rappresenta in breve l’ultimo anello del ramificato albero genealogico di Giovanni. I genealogisti di Coutot-Roherig si mettono in contatto con lui ed egli risponde contento di quest’inaspettata eredità, chiedendosi se mai riuscirà a godere di questo lascito.

Ed ecco che il destino si mette di nuovo in azione: il signor Vittorio improvvisamente muore, i buoni postali rimangono di nuovo senza un legittimo beneficiario e si rende necessario aprire nuove indagini.

Come nelle migliori pièces teatrali, arriva l’elemento sorpresa, quello che non ti aspetti, che cambia le carte in tavola e in un soffio risolve tutto: in questo caso l’elemento sorpresa, una sorta di deus ex machina, si chiama Lisetta ed è la fedelissima colf del signor Vittorio.

Lisetta ha prestato servizio presso la famiglia per oltre 50 anni, seguendone le vicissitudini con devozione e rispetto, curando la moglie di Vittorio quando si è ammalata e accudendo l’uomo una volta rimasto da solo.

È a lei che Vittorio decide di lasciare tutti i suoi beni, in segno di ringraziamento e profonda stima, ed è lei che chiude questo intreccio.

Siamo partiti dal signor Giovanni, in Piemonte, abbiamo attraversato il Belgio, siamo ritornati in Italia, cercavamo gli eredi di un uomo, e abbiamo incrociato un’altra vita totalmente estranea, almeno genealogicamente, alla prima.

Ma abbiamo appreso una nuova storia, di quelle che scaldano il cuore.

E anche questo è serendipità.

 

Una Indiana Jones a Torino

Torino, la città invisibile dell’archeologia e la su Indiana Jones…

Ricca di siti archeologici, ai più sconosciuti, il capoluogo piemontese è famoso per lo straordinario Museo Egizio, il più antico museo al mondo dedicato alla misteriosa civiltà, nonché per il Museo di Antichità, una vera e propria istituzione le cui origini risalgono alla metà del 500, con le collezioni del duca Emanuele Filiberto di Savoia.

E forse non è un caso che proprio a Torino, in questa culla di antichità, viene fatto un ritrovamento speciale, addirittura eccezionale se si considera anche il contesto.

La signora Maria ha sempre amato circondarsi del bello, un concetto che lei ha esteso principalmente a oggetti di antiquariato, insieme a quadri e arredi, che ne denotavano, oltre all’eccellente gusto, uno status sociale molto elevato.

Nella sua bella casa in centro a Torino, la signora Maria ha accumulato collezioni importanti, rilevanti per valore e bellezza così che, alla sua dipartita, chi si è trovato a farne l’inventario non è rimasto di certo indifferente.

Spesso entrare nella casa di una persona deceduta implica entrare anche nell’intimità dei suoi ricordi: oggetti di vita quotidiana, fotografie, beni preziosi e curiosità che, pur avvolti nel silenzio di una irreale e improvvisa assenza, sanno raccontare ancora tante storie.

Immaginate dunque la sorpresa di incappare, tra i tanti oggetti della signora Maria, in un vaso particolare per foggia e dimensioni.

Biconica Villanoviana X secolo a.C. Bucchiero Etrusco a impasto, con leggero restauro. Questo recitava il biglietto trovato all’interno del vaso e fu proprio quel X secolo a.C. e quell’etrusco a far pensare all’eccezionalità del ritrovamento. Interpellato immediatamente il Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Torino, il vaso è stato consegnato per le opportune indagini.

Ebbene sì, il manufatto era autentico! Un vero e proprio tesoro di epoca etrusca.

Ovviamente esistono particolari decreti a tutela di opere d’arte così preziose, che non solo ne vietano la detenzione (decreto legislativo 490/1999 e legge 1081 del 1939), ma che ne puniscono il relativo commercio ai sensi dell’art.648 c.p. (ricettazione).

E così, in nome e per conto degli eredi della signora Maria, Coutot-Roehrig ha consegnato il prezioso vaso alla Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per la città Metropolitana di Torino, andando ad arricchire così uno dei più importanti musei d’Italia.

Ma il pensiero non può non andare per un attimo all’intraprendente signora, italianissima Indiana Jones che ha voluto circondarsi, tra le varie cose, di un oggetto così importante, godendone il mistero che solo una civiltà come quella etrusca, analogamente a quella egizia, può suscitare.

Un tesoro nel tesoro: echi di fasti lontani

Se ogni oggetto proveniente dal passato potesse parlare, avrebbe da svelare almeno una storia.

Intrecci, vicissitudini, peripezie nel tempo e nello spazio, amori e dolori: un oggetto, a pensarci bene, non è mai una cosa in sé, ma si carica di energia e, spesso silenziosamente, attraversa i secoli affidando alla sorte il proprio destino.

Gli oggetti appartenuti ad Aurelio e Livia, se avessero potuto parlare, avrebbero forse raccontato non una bensì centinaia di storie, almeno tante quante i loro anni.

Provenienti entrambi da famiglie molto facoltose, abituate agli sfarzi di una Milano e di una Torino in piena epoca Liberty, Aurelio e Livia hanno vissuto il matrimonio del secolo, suggellando una unione non solo di cuori, ma anche di ricchezze inestimabili.

La passione per il bello declinato in ogni sua forma e probabilmente il desiderio, ancora più forte della passione, di circondarsi di quella esclusiva ricchezza, insieme a numerosi pezzi di inestimabile valore ereditati dai rispettivi avi, hanno portato Aurelio e Livia ad accumulare un tesoro così consistente e vario, da dover destinare un intero appartamento a contenerlo.

Gioielli in stile, appartenuti ai genitori di Livia, hanno costituito una delle collezioni più particolari e preziose dell’epoca, così come i corredi di lenzuola e biancheria interamente ricamate a mano, per la maggior parte mai utilizzata, sono i simboli di un mondo esclusivo, elitario, dove non solo la ricchezza ma anche il buon gusto ne denotano un lusso di altri tempi.

A questi si aggiungano gli arredi, di design, ricercati ed espressione di quella naturale propensione al culto del bello che ha contraddistinto tutta la vita della coppia.

Un tesoro che contiene altri tesori, si potrebbe affermare, e che, alla morte di entrambi i coniugi, di Livia prima e di Aurelio poi, dopo soli 3 anni, è rimasto ad attendere che mani ed occhi esperti lo valutassero.

Aurelio e Livia non ebbero figli e il frutto della conservazione dei beni delle varie discendenze è stato infine catalogato, valutato e messo all’asta a beneficio dei parenti.

Questa è la storia di un’eredità a matrioska, dove valore intrinseco ed estrinseco sulla bilancia hanno avuto forse egual peso, e dove purtroppo, di quei fasti, non rimane che una eco lontana.