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Serendipità: il lungo viaggio di un’eredità

Esiste una parola ben specifica per definire quel momento in cui, cercando qualcosa, ci si imbatte in qualcos’altro di totalmente imprevisto, scollegato, ma non per questo meno bello, anzi forse di più.

È un po’ come quando si cerca in ufficio un documento molto importante e si ritrova quella spillatrice persa mesi prima e mai più riapparsa: ecco, la sensazione che si prova, la situazione che si vive, viene chiamata serendipità.

La storia di Giovanni, signore piemontese che viene a mancare senza eredi diretti, è il primo anello di un susseguirsi curioso di altre storie. Giovanni, che non si era sposato e non aveva avuto figli, aveva due fratelli, uno deceduto molto giovane, e un altro, sposato e mancato ai suoi cari 30 anni prima.

La ricerca degli eredi, beneficiari degli averi di Giovanni, porta in Belgio dove risiedono dei lontani cugini. Al momento della consegna del compendio, viene aperta una cassetta di sicurezza al cui interno vengono trovati dei buoni postali degli anni ‘70, non ancora scaduti.

In alcuni di questi è indicato il nome di uno dei fratelli di Giovanni e della consorte: la vedova rappresenta così un nuovo beneficiario da rintracciare, rendendo necessaria l’apertura di un ulteriore albero genealogico e relative indagini.

Si scopre così che la signora Luisa, cognata di Giovanni, non solo non si è mai più risposata, ma è mancata senza eredi diretti, non avendo avuto figli ed essendo a sua volta figlia di figli unici.

Le indagini in questo punto della storia subiscono un’accelerata: i buoni postali sono prossimi alla scadenza e occorre trovare al più presto gli eredi della signora Luisa.

Viene così finalmente rintracciato un parente di sesto grado, un uomo molto anziano ma ancora nel pieno delle proprie facoltà. Il signor Vittorio rappresenta in breve l’ultimo anello del ramificato albero genealogico di Giovanni. I genealogisti di Coutot-Roherig si mettono in contatto con lui ed egli risponde contento di quest’inaspettata eredità, chiedendosi se mai riuscirà a godere di questo lascito.

Ed ecco che il destino si mette di nuovo in azione: il signor Vittorio improvvisamente muore, i buoni postali rimangono di nuovo senza un legittimo beneficiario e si rende necessario aprire nuove indagini.

Come nelle migliori pièces teatrali, arriva l’elemento sorpresa, quello che non ti aspetti, che cambia le carte in tavola e in un soffio risolve tutto: in questo caso l’elemento sorpresa, una sorta di deus ex machina, si chiama Lisetta ed è la fedelissima colf del signor Vittorio.

Lisetta ha prestato servizio presso la famiglia per oltre 50 anni, seguendone le vicissitudini con devozione e rispetto, curando la moglie di Vittorio quando si è ammalata e accudendo l’uomo una volta rimasto da solo.

È a lei che Vittorio decide di lasciare tutti i suoi beni, in segno di ringraziamento e profonda stima, ed è lei che chiude questo intreccio.

Siamo partiti dal signor Giovanni, in Piemonte, abbiamo attraversato il Belgio, siamo ritornati in Italia, cercavamo gli eredi di un uomo, e abbiamo incrociato un’altra vita totalmente estranea, almeno genealogicamente, alla prima.

Ma abbiamo appreso una nuova storia, di quelle che scaldano il cuore.

E anche questo è serendipità.

 

Una Indiana Jones a Torino

Torino, la città invisibile dell’archeologia e la su Indiana Jones…

Ricca di siti archeologici, ai più sconosciuti, il capoluogo piemontese è famoso per lo straordinario Museo Egizio, il più antico museo al mondo dedicato alla misteriosa civiltà, nonché per il Museo di Antichità, una vera e propria istituzione le cui origini risalgono alla metà del 500, con le collezioni del duca Emanuele Filiberto di Savoia.

E forse non è un caso che proprio a Torino, in questa culla di antichità, viene fatto un ritrovamento speciale, addirittura eccezionale se si considera anche il contesto.

La signora Maria ha sempre amato circondarsi del bello, un concetto che lei ha esteso principalmente a oggetti di antiquariato, insieme a quadri e arredi, che ne denotavano, oltre all’eccellente gusto, uno status sociale molto elevato.

Nella sua bella casa in centro a Torino, la signora Maria ha accumulato collezioni importanti, rilevanti per valore e bellezza così che, alla sua dipartita, chi si è trovato a farne l’inventario non è rimasto di certo indifferente.

Spesso entrare nella casa di una persona deceduta implica entrare anche nell’intimità dei suoi ricordi: oggetti di vita quotidiana, fotografie, beni preziosi e curiosità che, pur avvolti nel silenzio di una irreale e improvvisa assenza, sanno raccontare ancora tante storie.

Immaginate dunque la sorpresa di incappare, tra i tanti oggetti della signora Maria, in un vaso particolare per foggia e dimensioni.

Biconica Villanoviana X secolo a.C. Bucchiero Etrusco a impasto, con leggero restauro. Questo recitava il biglietto trovato all’interno del vaso e fu proprio quel X secolo a.C. e quell’etrusco a far pensare all’eccezionalità del ritrovamento. Interpellato immediatamente il Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Torino, il vaso è stato consegnato per le opportune indagini.

Ebbene sì, il manufatto era autentico! Un vero e proprio tesoro di epoca etrusca.

Ovviamente esistono particolari decreti a tutela di opere d’arte così preziose, che non solo ne vietano la detenzione (decreto legislativo 490/1999 e legge 1081 del 1939), ma che ne puniscono il relativo commercio ai sensi dell’art.648 c.p. (ricettazione).

E così, in nome e per conto degli eredi della signora Maria, Coutot-Roehrig ha consegnato il prezioso vaso alla Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per la città Metropolitana di Torino, andando ad arricchire così uno dei più importanti musei d’Italia.

Ma il pensiero non può non andare per un attimo all’intraprendente signora, italianissima Indiana Jones che ha voluto circondarsi, tra le varie cose, di un oggetto così importante, godendone il mistero che solo una civiltà come quella etrusca, analogamente a quella egizia, può suscitare.

Un tesoro nel tesoro: echi di fasti lontani

Se ogni oggetto proveniente dal passato potesse parlare, avrebbe da svelare almeno una storia.

Intrecci, vicissitudini, peripezie nel tempo e nello spazio, amori e dolori: un oggetto, a pensarci bene, non è mai una cosa in sé, ma si carica di energia e, spesso silenziosamente, attraversa i secoli affidando alla sorte il proprio destino.

Gli oggetti appartenuti ad Aurelio e Livia, se avessero potuto parlare, avrebbero forse raccontato non una bensì centinaia di storie, almeno tante quante i loro anni.

Provenienti entrambi da famiglie molto facoltose, abituate agli sfarzi di una Milano e di una Torino in piena epoca Liberty, Aurelio e Livia hanno vissuto il matrimonio del secolo, suggellando una unione non solo di cuori, ma anche di ricchezze inestimabili.

La passione per il bello declinato in ogni sua forma e probabilmente il desiderio, ancora più forte della passione, di circondarsi di quella esclusiva ricchezza, insieme a numerosi pezzi di inestimabile valore ereditati dai rispettivi avi, hanno portato Aurelio e Livia ad accumulare un tesoro così consistente e vario, da dover destinare un intero appartamento a contenerlo.

Gioielli in stile, appartenuti ai genitori di Livia, hanno costituito una delle collezioni più particolari e preziose dell’epoca, così come i corredi di lenzuola e biancheria interamente ricamate a mano, per la maggior parte mai utilizzata, sono i simboli di un mondo esclusivo, elitario, dove non solo la ricchezza ma anche il buon gusto ne denotano un lusso di altri tempi.

A questi si aggiungano gli arredi, di design, ricercati ed espressione di quella naturale propensione al culto del bello che ha contraddistinto tutta la vita della coppia.

Un tesoro che contiene altri tesori, si potrebbe affermare, e che, alla morte di entrambi i coniugi, di Livia prima e di Aurelio poi, dopo soli 3 anni, è rimasto ad attendere che mani ed occhi esperti lo valutassero.

Aurelio e Livia non ebbero figli e il frutto della conservazione dei beni delle varie discendenze è stato infine catalogato, valutato e messo all’asta a beneficio dei parenti.

Questa è la storia di un’eredità a matrioska, dove valore intrinseco ed estrinseco sulla bilancia hanno avuto forse egual peso, e dove purtroppo, di quei fasti, non rimane che una eco lontana.

L’eredità del collezionista di monete

Può una grande passione trasformarsi in un tesoro prezioso?

Nel caso dell’eredità del signor Ottavio, ciò che da ragazzino aveva iniziato come un affascinante e meticoloso hobby, è diventato nel tempo un vero patrimonio.

La passione di Ottavio inizia tra i banchi di scuola, un hobby nato dalla curiosità che lo porta, con il passare degli anni, a diventare un vero e proprio collezionista di monete e ad approfondire il mondo della numismatica come solo un ragazzino può fare: alacremente, con passione ed entusiasmo.

Ed è proprio grazie a quella passione e ad un entusiasmo mai esauriti che Ottavio, nel corso della sua esistenza, arriva ad accumulare una collezione esemplare, straordinaria, vastissima e di enorme valore. Non solo monete, ma anche libri, trattati e manuali antichi.

Ottavio muore, tra le sue monete e i suoi libri, ma senza eredi e senza un testamento. Inizia così il lavoro di Coutot-Roehrig che per prima cosa affida il patrimonio di Ottavio ad esperti numismatici al fine di poterlo valutare.

La collaborazione con gli addetti ai lavori non fa che confermare, dopo attenta e scrupolosa disamina, l’indiscusso valore della straordinaria collezione del signor Ottavio.

Nel contempo i genealogisti cominciano le ricerche per dare un futuro al patrimonio di Ottavio. Un lavoro di ricerca in larga scala, rimbalzando qua e là alla ricerca di lontani parenti per far si che qualcun altro possa prendere le redini di questa immensa collezione e chissà, magari appassionarsi proprio come Ottavio.

La ricerca genealogica dà i suoi frutti e i legittimi eredi, ignari del cospicuo patrimonio, vengono contattati. Così il tesoro del signor Ottavio può riprendere una sua propria vita, entrando di nuovo nelle case di appassionati di numismatica e libri antichi.

La corrispondenza dell’amore perduto

L’eredità di Agata: la corrispondenza dell’amore perduto: il vero tesoro andato agli eredi.

Esistono amori che durano una vita, altri che si interrompono molto presto, poi ci sono gli amori speciali ma perduti, che rimangono a tormentare i ricordi per tutta un’esistenza.

Agata nasce in un paesino del sud Italia ma cresce a Torino, dove arriva negli anni ‘50 con la mamma, una giovane donna sola che lavora duramente per mantenere se stessa e la figlia.

Ben presto anche Agata inizia a lavorare e a 20 anni incontra Marco, un ragazzo gentile con cui inizia una relazione amorosa importante.

Ma questi e altri sono dettagli che emergeranno post mortem, quando Agata, che non si era mai sposata e aveva da sempre vissuto con la madre, muore senza lasciare nessun erede.

Al primo accesso al fine della valutazione dei beni, nell’appartamento che Agata aveva comprato a Torino, i genealogisti di Coutot-Roehrig scoprono un piccolo ma grazioso alloggio che lei aveva arredato con cura grazie ai suoi risparmi.

Coloro che sono entrati in quella casa hanno da subito trovato un ordine puntuale, una pulizia accurata, una cura che rasentava la perfezione, ma è accanto al letto, in un vano del comodino, che Agata teneva i suoi preziosi.

All’interno di una latta, insieme a diverse foto che la ritraevano sorridente insieme a Marco, i genealogisti trovano un plico di cartoline consunte, in rigoroso ordine cronologico.

Marco portava spesso Agata in giro per le città italiane, inviandole ogni volta una cartolina così che lei potesse serbare un ricordo tangibile di quei momenti di felicità e spensieratezza; parole amorevoli e dettagli su quella specifica gita che potessero rimanere per sempre, come piccole stelle di un firmamento ancora da scoprire.

Quindici anni di cartoline così, poi il vuoto, una lunga pausa, fino alla successiva cartolina, diversa, con parole discrete, affettuose e non più amorose, e in calce, insieme alla firma di Marco, quella di un’altra donna.

Non è stato possibile ricostruire le ragioni della fine di quell’amore, di certo Marco ricorda Agata durante un viaggio in sud Africa e le scrive parole di gratitudine, ma di quell’avventura lei non fa più parte e il suo posto è riservato a un’altra.

Si è trattato di un amore speciale, di quelli che rimangono a tormentare i ricordi, come si evince dai bordi consunti di quelle missive e da quell’ultima cartolina che, anziché venire gettata, è stata conservata, quasi a mettere la parola fine.

Le indagini si sono estese nel sud dell’Italia, alle origini, dove sono stati individuati dei lontani cugini che si ricordavano benissimo di Agata e della mamma, ma che, per ragioni sconosciute, avevano come dimenticato.

A loro sono andati i beni, ma soprattutto quella latta dei ricordi: il vero tesoro di Agata.

L’eredità di una Miss

L’eredità di una miss: un lascito particolare tra ricordi e romanzi.

Thomas Mann scrisse che la bellezza a volte può trafiggere come un dolore, e chissà se Adele abbia mai desiderato almeno una volta scambiare la sua straordinaria bellezza con una vita priva di dolori.

Nata bella e cresciuta bellissima, Adele ben presto diventa una giovane molto corteggiata che unisce a questa sua dote naturale un grande interesse per la scrittura e la letteratura. Siamo in Piemonte, nel Canavese, tra il 1950 e il 1960, gli anni della dolce vita e delle prime Miss Italia, quelle che finiscono sulle riviste patinate.

Adele riesce a penetrare questo universo dorato, partecipa a diversi concorsi di bellezza, diventa un’assidua frequentatrice del bel mondo di allora, come testimoniano le numerose foto che la ritraggono insieme a personaggi del calibro di Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Giulietta Masina, Franca Rame e Dario Fo.

Inizia a scrivere e vince diversi premi di letteratura, numerosi suoi racconti vengono pubblicati sui periodici degli anni, e finalmente incontra anche l’amore.

Ma qualcosa nel suo primo matrimonio va storto e la relazione finisce, complesse vicissitudini private la vedono trasferirsi con la madre, la cui assidua presenza rappresenta una sorte di ancora di salvezza, a Torino, dove successivamente si sposa una seconda volta.

La vita corre via veloce, trascinando nel suo vortice prima la madre, poi anche il secondo marito e lasciandola ormai anziana e sola in una casa piena di ricordi, dove il suo sguardo con ogni probabilità si sarà posato più e più volte sui certificati dei suoi premi, sugli oggetti più cari, sulle sue foto e sui suoi taccuini.

Adele finisce i suoi giorni in una casa di cura, dove infine muore senza lasciare alcun erede diretto.

Inevitabile quindi l’apertura delle indagini per la sua eredità, condotte dai genealogisti di Coutot-Roehrig che, al primo sopralluogo in quella casa, capiscono di trovarsi di fronte a un lascito molto particolare e costituito non solo dall’appartamento e dalle tante foto, ma soprattutto dal diario romanzato autobiografico di Adele, i cui diritti d’autore in caso di pubblicazione, spetteranno agli eredi rintracciati.

Le ricerche si sono rivelate difficoltose proprio a causa di quel trasferimento, che ha troncato ogni rapporto con la precedente vita, modificando profondamente l’assetto famigliare della donna, ma la sorpresa dei parenti ritrovati ha ripagato degli sforzi.

Al di là dell’appartamento e di un conto, è proprio quel diario di memorie a essere così prezioso e speciale: una testimonianza di una vita sui generis scritto direttamente dalla protagonista principale, Adele.

 

Una eredità provvidenziale

I genealogisti rintracciano gli eredi legittimi di un vecchio parroco.

E poi la Provvidenza mha aiutato finora; maiuterà anche per lavvenire.

Alessandro Manzoni, quasi a sottolineare che un Destino buono per tutti interviene misteriosamente come Provvidenza a risolvere criticità, fa dire questa frase al suo Renzo Tramaglino nei Promessi Sposi.

Ma in questa storia di eredità, a rappresentare quel destino buono, non è la Provvidenza…

La nostra storia comincia a Torino: Mario, studente di teologia, segue la sua vocazione prendendo i voti e diventando capo spirituale di una parrocchia della sua città. Dopo qualche tempo, però, non per mancanza di fede, ma per spirito d’insegnamento, decide di abbandonare il sacerdozio per dedicarsi all’educazione alla religione cristiana presso le scuole.

Figlio unico di una coppia dall’ingente patrimonio immobiliare, Mario trascorre gli anni dividendo la sua vita tra la passione d’insegnante e la sua famiglia, che accudisce con amore.

Di anni ne passano 30, su per giù, e Mario muore senza lasciare né testamento né eredi che possano beneficiare dei tanti beni immobili appartenuti alla sua famiglia.

Coutot-Roehrig viene a conoscenza del caso e decide di occuparsene. Ai genealogisti spetta un compito tutt’altro che facile. Gli alberi genealogici sono articolati, a volte difficili da ricostruire e più il grado di parentela si allontana più le ricerche si fanno complicate. Proprio come un albero, rami di nomi si intersecano, si mescolano, si dividono, portando qua e là in giro per il mondo i ricercatori.

Dopo lunghe indagini tra vecchi registri e documenti parrocchiali, vengono rintracciati gli eredi. Sono parenti lontani, arrivano al quinto grado di parentela con Mario e sono gli unici, legittimi, in vita.

 Ed è così, che, alla fine, tutti i beni di Mario hanno trovato un futuro. Il suo appartamento dove aveva vissuto insieme ai genitori, la villa in Liguria, l’intero stabile di Torino, fino ai possedimenti in denaro depositati in banca, sono stati consegnati ai parenti lontani tra incredulità e felicità.

 

 

 

Il destino li separa, un’eredità li riunisce

Questa storia si dipana tra Biella e la Pennsylvania e a dividere due fratelli non c’è solo un oceano, bensì una sorte tremenda e ingiusta, come solo la vita a volte può esserlo. Ma se il destino separa, un’eredità riunisce.

Anna è una giovane ragazza-madre di Biella che, alla nascita del secondo figlio, si trova suo malgrado costretta a prendere una terribile decisione; se al primogenito riesce infatti, pur con molte difficoltà economiche, a garantire non solo il proprio cognome, ma una casa e un futuro, per il secondo bambino decide di sfidare il destino, affidandolo alle cure di un orfanotrofio della città.

Le vite dei suoi figli Giacomo e Matteo si separano, quando la loro madre si rende conto di non poter assicurare a entrambi una vita dignitosa e sarà costretta a consegnare Matteo alle suore dell’orfanotrofio.

All’età di 4 anni Matteo viene scelto dalla delegazione di un comitato per adozioni internazionali e qui la sua vita si separa per sempre, anche geograficamente, da quella del fratello Giacomo; il bambino viene affidato a una coppia della Pennsylvania, e inizia una nuova vita oltre oceano.

Il bivio è ormai superato, Matteo si sposa, ha 4 figli e non tornerà più in Italia, mentre Giacomo rimane con la madre e, grazie ai sacrifici del suo lavoro, acquista una casa modesta ma dignitosa dove entrambi trascorrono la loro esistenza.

Gli anni passano, i due fratelli non si incontreranno mai e mentre Giacomo finirà i suoi giorni in una casa di cura del biellese, Matteo morirà nel 2018, non senza prima aver riferito ai propri figli delle sue origine italiane.

Ed è a questo punto che entrano in scena gli esperti di Coutot-Roehrig: Matteo lascia i propri averi ai figli, ma per  Giacomo, rimasto solo, si apre la ricerca successoria.

Ricongiungere due famiglie così lontane, rimettere insieme tutti i tasselli e poter dimostrare che i 4 figli di Matteo potevano ereditare il patrimonio, seppur esiguo, di Giacomo, ha comportato un lavoro intenso e lungo, e documenti sparsi tra due continenti.

Ma alla fine Coutot-Roehrig è riuscita a gestire la pratica direttamente in Italia, nonostante una storica pandemia, quella attuale, e riuscendo infine a riallacciare un legame tanto antico quanto profondo.

Non si è trattato infatti di recuperare copiosi averi e ingenti proprietà, Giacomo nel corso della sua esistenza non si era arricchito e la casa in cui aveva vissuto insieme alla madre era frutto dei sacrifici di una vita.

Ma è quel legame ricucito, a essere importante, così tanto da spingere due dei figli di Matteo a richiedere la cittadinanza italiana, esprimendo il desiderio di andare nella casa dove lo zio e la nonna mai conosciuti avevano vissuto, per ricomporre idealmente una famiglia.

Di archeologia, aviazione femminile e mirabolanti esistenze

Ricerca genealogica per ritrovare l’erede lontano

Spesso il complesso disegno del destino si rivela a posteriori, quando les jeux sont faits, e qualcuno si trova a scoprirne le fitte trame, partendo da un unico filo.

In questo caso quel filo è David (nome di fantasia), che trascorre la propria vita studiando civiltà e culture del passato, e che diventa egli stesso, una volta compiuta la sua esperienza terrena, oggetto di ricerca e indagine.

Questa storia si ambienta in parte a Napoli, dove il padre di David, ebreo di origine svizzere, ha una libreria in piazza del Plebiscito, ma si dirama tenacemente nell’Europa della persecuzione antisemita, passando tragicamente nei campi di sterminio, sostando inaspettatamente in uno sperduto villaggio austriaco, lambendo il continente africano e i suoi cieli, e approdando, infine, in Portogallo.

Affermato archeologo di elevato spessore culturale, David ha una brillante carriera e diventa un punto di riferimento nel mondo accademico grazie a scoperte importanti effettuate in Grecia, a Creta, e sulle coste della Turchia; alla sua morte si presenta il dilemma degli eredi e di un lascito che, mancando una discendenza diretta, rimane in attesa di destinazione.

Coutot-Roehrig ricorderà a lungo questa avventura, fatta di una ricerca genealogica complicata,  indagini che hanno dovuto attraversare i confini nazionali e quelli temporali, cercando di mettere insieme, di nuovo, tutte le tessere di una famiglia dal passato così tormentato.

Una delle sorelle della madre di David risulta infatti drammaticamente scomparsa in un campo di concentramento, mentre una seconda, di cui inizialmente si persero le tracce durante la fuga dalla lunga mano antisemita, è sopravvissuta allo sterminio nascondendosi in un piccolo e sperduto villaggio in Austria, dove si spegnerà senza grande clamore.

A tali informazioni i genealogisti di Coutot-Roehrig approdano dopo reiterati accessi agli archivi storici delle Comunità Ebraiche italiane e non solo, e dopo lunghe ore trascorse a setacciare atti, documenti, manoscritti che portano ad accertare l’inesistenza di eredi di David nel lato materno.

Le ricerche si concentrano quindi sul padre di David, rintracciandone una cugina, Carina (nome di fantasia), che si era rifugiata in Portogallo e la cui mirabolante esistenza ha lasciato una indelebile traccia nel mondo dell’aviazione femminile.

La donna infatti è stata una delle prime aviatrici che nel 1930 ha fatto la traversata dall’Europa all’Africa, battendo il record internazionale di altitudine con un aereo leggero, raggiungendo i 15.900 piedi.

Carina si sposò con un aviatore da cui ebbe due figlie, parenti di quinto grado di David e di fatto sue uniche e legittime eredi.

Contattate dopo un iter di ricerche molto complesso, le due sorelle, già avanti con l’età, non serbavano che offuscati ricordi del lontano cugino, ma accettarono con grande emozione quel lascito proveniente da una storia così lontana e finalmente riscoperta.

 

 

Carmine, il clochard di Pozzuoli

Carmine legittimo erede clochard di un fratello sconosciuto.

La determinazione che occorre per sopravvivere da clochard è la stessa che Coutot-Roehrig impiega nei casi più difficili e più intricati, quelli per cui occorre mettere in gioco la passione per il proprio lavoro.

E non è un caso che questa storia veda proprio coinvolto un clochard, Carmine, che, risultato erede del patrimonio di un fratello sconosciuto, per un certo periodo diventa l’oggetto dell’alacre lavoro di ricerca degli esperti genealogisti.

L’incipit è sempre lo stesso: muore una persona che, apparentemente, è senza eredi diretti e il cui patrimonio, spesso cospicuo, deve trovare un approdo.

Coutot-Roehrig individua abbastanza velocemente l’esistenza di Carmine, fratello del deceduto, che risiederebbe, secondo la documentazione in possesso, a Pozzuoli, ma che, all’indirizzo di residenza, non risulterebbe.

Ma non solo: di questo Carmine, che pare essere svanito nel nulla, nessuno ha più notizie.

Iniziano così le ricerche sul posto, negli uffici dell’anagrafe e in quelli delle locali forze dell’ordine, senza trovare nulla, fino a quando un agente dei vigili urbani scopre l’arcano: l’indirizzo in possesso dei genealogisti altro non era che il recapito generico che si riserva ai S.F.D., i Senza Fissa Dimora.

Non è la risoluzione del mistero, ma è un punto di partenza, una briciola di pane nel bosco che potrebbe servire a far trovare Pollicino.

L’intuizione di lasciare i recapiti a quel vigile affinché potesse chiamare in caso di novità, si rivela vincente: dopo pochi giorni Coutot-Roehrig viene contattata dagli agenti che, avendo visto Carmine in persona, avevano provveduto a consegnargli la comunicazione dell’inaspettata eredità.

Carmine non tarda a chiamare e a rendersi disponibile per incontrare i genealogisti, scoprendo così non solo del patrimonio che gli spettava di diritto, ma anche della morte del fratello di cui non era a conoscenza: sentimenti contrastanti ma comprensibili date le circostanze.

Nessuno in Coutot-Roehrig sa se Carmine oggi viva ancora da clochard, ma di certo gli auguri che non dimentica mai di inviare a Pasqua e a Natale sono un chiaro riconoscimento di ciò che l’inaspettata notizia ha lasciato nella sua vita.