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La storia di Cecilia e il suo violino

I violini possono prestarsi a una folla di sfumature in apparenza inconciliabili. Essi hanno la forza, la leggerezza, la grazia, l’accento triste e gioioso, il sogno e la passione (…). Il violino è la vera voce femminile dell’orchestra, voce passionale e casta allo stesso tempo, straziante e dolce, che piange e grida e si lamenta, o canta e prega e sogna, o esplode in accenti di gioia, come nessuno altro potrebbe fare.
(Hector Berlioz)

I primi giochi di Cecilia furono dei pennelli e una tavolozza di tempere.

Fausto, il padre, cullò per molto tempo il desiderio di trasmetterle la sua arte di stimato pittore, e non demorse nemmeno quando scoprì che la giovane figlia, nelle ore dedicate al cavalletto, fuggiva di soppiatto sul balcone, per ascoltare la vicina di casa suonare il pianoforte.

Si arrese solo quando, dopo anni, la sentì suonare nella piccola orchestra scolastica e capì che Cecilia era una vera artista, come lui, ma che aveva scelto un’altra forma di espressione.

Il primo violino fu un regalo del nonno materno, proveniva dai mastri liutai di Cremona ed era di seconda mano: ma Cecilia, ogni volta che apriva la custodia e sentiva quel profumo di cera e velluto un po’ consumato, si sentiva la bambina più felice del mondo.

Sinfonie, sonate ed esercizi ripetuti all’infinito diventarono per lei un mondo irresistibile dove rifugiarsi ogni giorno: non si può certo dire che Cecilia fosse una bambina prodigio, ma sicuramente crebbe virtuosa e appassionata, fino a diventare una musicista professionista.

Dedicò la sua vita all’orchestra in cui suonava, senza mai sposarsi, e immolandosi totalmente al suo primo e unico amore: il violino.

Cecilia si spense in età avanzata, tra i suoi spartiti e i quadri di suo padre che la ritraevano, ancora bambina, alle prese con le sue prime esibizioni: lo sguardo enigmatico, il volto rilassato e quell’espressione tra il divertito e il pensieroso.

Si dice che mentre la Gioconda posava nello studio di Leonardo, per tutto il tempo vi fosse musica per archi e che il suo celebre sorriso fosse, alla fine, un riflesso del suono di quelle melodie.

Forse Fausto riuscì a cogliere l’estasi artistica della figlia, o molto più semplicemente cercò, a suo modo, di esprimerne il talento, seppure ancora acerbo.

Gli eredi di Cecilia, rintracciati da Coutot-Roehrig, ricordano di quell’uomo gli amabili tratti e il carattere gioviale, ma è della violinista che serberanno per sempre quell’immagine elegante e armoniosa.

 

Diana la fotografa di Venezia

«Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere».

Robert Doisneau

Zio Mario la faceva sedere distante, in modo che non lo disturbasse nella fase più delicata del suo lavoro, quando il vetro iniziava a prendere forma e occorreva essere veloci, forgiare senza esitazione.

Diana osservava in silenzio, con pazienza, sapendo che subito dopo sarebbe stata premiata con una piccola murrina colorata.

Forse la passione di guardare il mondo attraverso una lente nacque proprio in quei pomeriggi a Murano, nell’antica bottega dello zio, dove avvenivano due magie: quella della creazione di piccoli capolavori, e quella di osservare il cielo, i canali, le gondole che li attraversavano scivolando leggere e i volti delle persone che camminavano nelle calli incassate tra i palazzi, provando una rassicurante gentilezza.

La scoperta della prima macchina fotografica fu per Diana come arrivare in una terra inesplorata, con l’entusiasmo di avanzare coraggiosamente in sentieri non ancora tracciati o percorsi da pochi e fortunati eletti.

Non le bastarono più le murrine dello zio Mario: il mondo vero e gentile che desiderava osservare, poteva essere catturato e mostrato a tutti, quale prova inconfutabile che davvero esisteva.

Iniziò a frequentare lo studio del signor Alvise, un caro amico del padre, che le spiegò come la rifrazione della luce nelle pozzanghere poteva disegnare il volo dei piccioni con estrema grazia, o come il sorriso estasiato dei turisti in Piazza San Marco potesse illuminare la più buia delle giornate.

A Diana piaceva scovare le emozioni dove sembrava non ve ne fossero e il suo sguardo su Venezia e sulle persone aveva il sapore di un sogno magnifico, di quelli che si portano addosso anche da svegli, perché fanno sentire bene.

L’allieva superò il maestro, sviluppando uno stile originale, innovativo ma estremamente emozionale; Diana, figlia unica e mai sposata, passò tutta la sua vita a catturare immagini del suo mondo, tesa a coglierne la bellezza, e con la ferma convinzione che in fondo in fondo bastava guardare con il giusto punto di vista.

Alla sua dipartita lasciò un patrimonio straordinario: oltre alle sue foto, gli esperti di Coutot-Roehrig consegnarono a una lontana cugina americana numerosi libri, macchine fotografiche professionali e d’epoca, filtri, obiettivi, cineprese, lampade e una camera oscura dove ancora alcuni rullini, in attesa di essere sviluppati, conservavano quella tenerezza che Diana rincorse per tutta un’esistenza.

Angela

Angela e la sua collezione di vini

«Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro, un buon amico»

Molière

Immaginate di compiere un viaggio, attraverso paesaggi diversi, fatti di natura, di persone, di tradizioni e di stagioni, seguendo una geografia olfattiva.

I profumi di un vino possono fare questo e altro.

Lo sapeva bene la signora Angela, che proprio nel vino aveva riposto le attenzioni di una vita, realizzando una collezione fatta di etichette pregevoli e di annate particolari: una cantina interessante, non eccezionale, ma sicuramente espressione di una passione verace e di una cultura non indifferente.

Sposata con un signore della Torino bene, la signora Angela avrebbe potuto collezionare abiti di alta sartoria o gioielli raffinati, ma decise che il valore della convivialità fosse di gran lunga superiore a quello intrinseco di un oggetto qualsiasi.

Cominciò ad appassionarsi ai vini della zona piemontese, imparando a riconoscerne i sentori, i vitigni, le caratteristiche che mutavano in base alle annate, poi i suoi interessi si estesero, grazie alla tipica curiosità che anima le menti brillanti, al mondo, desiderosa di scoprirne le meraviglie.

La piccola vetrina dove tenere alcune etichette da degustare e la cantina con la giusta umidità dove collezionare i piccoli capolavori provenienti da più parti d’Italia, furono il passo successivo: luoghi dove entrare in punta di piedi, quasi per non disturbare il sonno di alcuni vini, dove accarezzare con rispetto le bottiglie più pregiate e infine dove attingere per condividere quel mistero così antico con gli amici più cari.

Rimasta sola dopo la dipartita di Giuseppe, suo marito, la signora Angela ha continuato a viaggiare nella sua cantina ricordando i bei tempi che furono, le serate in compagnia e le feste con le tavole imbandite, fino a quando anche per lei, è giunto il momento di andare.

Agli eredi, i genealogisti di Coutot-Roehrig, hanno consegnato la chiave della cantina con i suoi vini e i suoi ricordi: piccolo ma pulsante luogo del cuore della signora Angela.

La vita spesso apre delle parentesi per poi chiudere dei cerchi: in questo caso uno dei nipoti della signora non solo possedeva una cascina, ma di mestiere faceva il viticoltore.

Il suo sguardo, alla vista di quella cantina, deve essersi illuminato e a noi piace pensare che la signora Angela riposi serena, tranquilla per le sorti della sua collezione.

Il collezionista di libri. La storia di Carlo

La lettura è una immortalità all’indietro, diceva Umberto Eco, e chi legge si ritrova a 70 anni ad avere vissuto almeno 5000 anni: c’era quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito, quando Caino uccise Abele. Questa é la storia di Carlo: il collezionista di libri.

Leggendo, il tempo di vivere si dilata, come direbbe Daniel Pennac, e Carlo, da bambino, ricevette dai suoi genitori il regalo più prezioso, quello che gli avrebbe permesso di vivere non una ma cento, mille vite: la passione per i libri.

Intraprende così un viaggio straordinario, che lo accompagnerà per tutta la sua esistenza e che lo porterà non solo ad affinare i propri gusti, ma a realizzare una collezione importante di circa 300 volumi, molti dei quali manoscritti del 600 e del 700.

Una biblioteca personale, privata, curata con il rispetto che si riserva agli oggetti d’arte e che a un certo punto si è arricchita grazie alla famiglia della consorte, animata dalla stessa passione.

Carlo ha trascorso molte ore nel suo mondo segreto, varcando probabilmente la porta in silenzio, godendosi la visione di tutti quei volumi ben riposti, decidendo poi quale consultare, non senza essersi infilato meticolosamente i guanti in filo di cotone per sfogliare pagine delicate e preziose.

Dopo aver messo il volume sul leggio, quello al centro della stanza, sotto alla lampada in ottone e vetro, avrà quindi inforcato gli occhiali dopo averne pulito per bene le lenti, e avrà iniziato uno dei suoi tanti viaggi tra le parole scritte dei suoi amati libri.

Un rituale meticoloso, come quello di colui che si prepara a un appuntamento galante, tenendo a freno le emozioni, quasi che in quell’attesa si nascondesse il vero segreto del piacere della lettura e della contemplazione.

Carlo rimane prima da solo, trovando forse conforto nella sua collezione, poi termina anche lui la sua esperienza terrena.

Grande la sorpresa di chi ha effettuato le perizie patrimoniali, scoprendo questo luogo atemporale così ricco di fascino e di cultura, ma ancora più grande lo stupore di uno degli eredi rintracciati dai professionisti di Coutot-Roehrig, che con il lontano cugino condivideva, inconsapevolmente, questo amore per i libri.

Ed è così che la collezione ha trovato mani altrettanto cortesi e disposte a preservare quel tesoro che Carlo, con grande passione, aveva creato e custodito.

Dietro le quinte della ricerca genealogica - Seconda parte

Dietro le quinte della ricerca genealogica – Seconda parte

Dietro le quinte della ricerca genealogica – Seconda parte

Caterina.

Partire da un nome e da un paio di date per ricostruire le origini di una persona potrebbe risultare molto complesso, ma non per un genealogista, avvezzo a percorrere strade spesso nascoste arrivando tracciare nuovi cammini, saltellando tra le regioni ma, soprattutto, giocando con la linea del tempo.

 La storia di Caterina, vissuta a Torino, si era fermata per un attimo a Pietra Ligure, paese di origine della madre, che però, a sua volta, aveva una storia interessante alle spalle.

 Ricostruendo minuziosamente la linea materna, si scopre così che la nonna materna di Caterina era una delle poche sopravvissute della sua famiglia, famiglia il cui padre era giunto sulle coste del Tirreno partendo dalla campagna vicentina. A questo punto sorge spontanea la domanda: perché, in un’epoca in cui le famiglie erano piuttosto numerose, qui si parla di “sopravvissuta”? E poi, perché il Veneto?

 Un bravo genealogista, oltre a ricostruire i legami di parentela, non deve perdere di vista il contesto storico della ricerca sulla quale sta lavorando, deve saper collocare i rami genealogici nel terreno dei grandi eventi, quelli in grado di modificare un’intera generazione, per intenderci.

 E con Caterina, o meglio con la famiglia della nonna materna, ci si colloca già nel pieno dell’800, un secolo che, tra le guerre e la nascente industrializzazione si concluse con la Grande Guerra combinata alla pandemia di spagnola, la Grande Influenza che tra il 1918 e il 1920 uccise tra i 50 e 100 milioni di persone in pochi mesi.

 Questo spiega, probabilmente, la migrazione di quell’avo dalla campagna veneta alle coste liguri, e ai loro porti, alla ricerca di una condizione di vita migliore. Da un lato il lavoro, dall’altro la guerra. Se la Guerra si faceva al fronte, la spagnola non ha certo fatto distinzione tra luoghi, generazioni o sesso … e tra le vittime si contano anche alcuni membri della famiglia della nonna materna di Caterina. Per questa ragione, qualche paragrafo più in alto, abbiamo parlato di “sopravvivere”.  Di un’intera famiglia che vedeva 12 nascite, solo 2 sono arrivate all’età adulta: una di queste era proprio la nonna di Caterina, l’altra era la nonna dei suoi legittimi eredi.

 Questi macro-eventi della storia hanno avuto forti conseguenze nelle famiglie di tutto il continente (ma non solo) e sono oggi ancora riconoscibili negli alberi genealogici: con gli uomini che perivano sul fronte e le donne che non sopravvivevano alla pandemia, anche alcuni bambini non diventavano mai grandi.

 Difficilmente, ma non di rado, è necessario risalire al sesto grado di parentela per trovare degli eredi viventi come nel caso di Caterina, ristabilendo legami andati perduti, sepolti e dimenticati, soffiando via la polvere del tempo, silenziando gli echi delle guerre, ma, soprattutto, riportando alla luce uno spaccato di un’epoca per tanti letteralmente sconosciuta.

 Questo è il lavoro del genealogista, abile funambolo sul vuoto spaventoso del tempo e guardiano discreto dei segreti di intere generazioni.

Coutot-Roehrig a Studio Aperto Mag

il 23 febbraio é andato in onda su Studio Aperto Mag alle ore 19.00 un servizio su di noi.

“Da oltre 20 anni vanno a caccia di eredi, persone che non sapevano di avere un parente ricco. Grazie a loro possono entrare in possesso di un’eredità alla quale non sospettavano nemmeno di avere diritto.”

Ringraziamo il giornalista Alberto Pastanella, il regista Luca Stegani e tutta la redazione di Studio Aperto per aver dedicato un servizio alla nostra professione, mirato a far comprendere in che cosa consista davvero il nostro lavoro giornaliero e quanto questo, spesso, si mescoli alla storia. Ricostruire un albero genealogico in maniera meticolosa ci porta a conoscere a fondo le radici dei nostri eredi, ma ci fa rivivere anche i contesti storici del passato che inevitabilmente hanno influenzato le loro vite.

 

Grazie per aver trasmesso, attraverso questo servizio, la passione che mettiamo ogni giorno nel restituire i beni preziosi (anche sentimentalmente preziosi) di chi ci ha lasciati, ai loro legittimi famigliari.

 

Clicca sull’immagine per il servizio completo!

Dietro le quinte della ricerca genealogica – Prima parte

Dietro le quinte della ricerca genealogica – Prima parte

Nel 1084, sul massiccio francese delle Prealpi della Chartreuse, fu costruito il primo monastero certosino, la Grande Chartreuse, per volontà di san Brunone, un monaco cristiano tedesco.

La cura, il silenzio, la solitudine, e nel contempo la grandezza e la bellezza dei monasteri, diventarono i tratti distintivi di un ordine, quello certosino, che ha lasciato eredità straordinarie, a partire dalla celebre razza di gatto, all’elisir digestivo, fino alle miniature conosciute in tutto il mondo per la loro precisione, e da cui deriva l’origine dell’aggettivo certosino, quale sinonimo di meticoloso, paziente, minuzioso.

E come definire, se non certosino, l’ineccepibile lavoro di ricostruzione del genealogista, che con esattezza, cura puntuale, profonda conoscenza e spiccato intuito, ricostruisce le miniature generazionali di intere famiglie, alla ricerca degli ultimi eredi rimasti in vita? Non può non sfuggire un evidente parallelismo tra la grandiosità dell’operato dei monaci certosini e quella dei nostri esperti genealogisti, che non di rado scavalcano confini, infrangono barriere temporali, attraversano eventi epocali, e alla fine mettono l’ultima pennellata alla miniatura che pazientemente hanno realizzato.

Esemplare, in questo senso, è la storia di Caterina, deceduta senza lasciare eredi, figlia di sola mamma, come si usava definire allora i figli naturali non riconosciuti dal papà.

Chi si è occupato pazientemente di ricostruire l’albero genealogico di Caterina è dovuto partire unicamente dal nome e dal cognome della madre, e da due date, la nascita e la morte, inserendo questi pochi dettagli in un contesto storico culturale peculiare.

Un percorso a ritroso, alla ricerca di un indizio che portasse a un altro indizio, partendo da Torino, dove Caterina ha vissuto, per passare da Pietra Ligure, terra di nascita della madre, brancolando ad un certo punto  nel buio per la  mancanza di registri comunali, che esistono dal 1860 e non prima, e andando a consultare i registri parrocchiali, che grazie al Concilio di Trento avevano l’obbligo di annotare tutti le nascite e i decessi dei propri fedeli.

E così che partendo da Caterina, si procede a ricostruire la storia della madre, Maria Luisa, che dopo la nascita della bimba, resta a vivere nel suo paese, Pietra Ligure, e si sposa con un uomo che seppure per un breve periodo, rappresenta per Caterina l’unica figura paterna.

La nostra Caterina rimane presto da sola: mamma e patrigno decedono purtroppo prematuramente.

Bisogna andare più indietro, dove i contatti si diradano, scoprire la storia dei nonni materni, cercare il nodo preciso dove qualcosa si è spezzato e perché, seguire le ramificazioni di famiglie povere, semplici, che spesso lasciavano i paesi di origine in cerca di fortuna, dove i figli erano numerosi quanto la mortalità che li falcidiava e infine dove solo una pazienza certosina può oggi districarsi per scoprire la verità.

Cosa scopriranno i genealogisti sulle lontane origini di Caterina?

20 anni di Genova

2001 – 2021 Vent’anni di Genova

Genova, 16 dicembre 2021 – Chiostro dei Canonici di San Lorenzo

Ci hanno definito gli Indiana Jones degli alberi genealogici, gli esperti investigatori di archivi, i perfetti James Bond dei lasciti: a noi piace definirci semplicemente pionieri, coloro che per primi hanno tracciato una strada dove prima non c’era nulla, ricucito strappi generazionali apparentemente irrisolvibili, e ricongiunto famiglie divise dagli scherzi del destino. Sono passati 20 anni dal nostro arrivo a Genova, prima sede della nostra storia in Italia, artefici di un mestiere che in qui non esisteva, fautori di un legame con la Francia e successivamente
con il mondo intero che ha annullato o quasi le distanze geografiche, e orgogliosamente attori in prima linea con una città considerata oggi il simbolo di un nuovo risorgimento italiano.

Abbiamo deciso, così, di festeggiare questa ricorrenza insieme ai nostri amici e a tutti i professionisti che in questi anni ci hanno seguiti e che ringraziamo con tutto il cuore.

Speriamo sia stata una piacevole serata indelebile nei vostri cuori così come nei nostri!

Au revoir!

 

La collezione del tempo

La collezione del tempo: la collezione di Osvaldo

Gandhi amava ripetere che noi occidentali abbiamo l’ora, ma non abbiamo mai il tempo.

Così astratto e così prezioso quando non sembra mai abbastanza, così invadente e soffocante quando invece si dilata e non passa mai: fugge inesorabile, si adagia implacabile, e l’uomo vi si ribella quasi sempre in maniera fallace.

Solo in un’occasione vince: quando lo misura con pazienza, lasciando che scorra senza porvi ostacolo, sempre con l’illusione di averlo intrappolato (per sempre) in scatole preziose.

Il primo orologio da polso fu inventato alla fine del XIX secolo da Patek Philippe, inizialmente come accessorio da signora, e fu Alberto Santos-Dumont a chiedere all’amico Louis Cartier un’alternativa più pratica all’orologio da tasca per quando pilotava il proprio aereo. Quando Cartier gli propose il primo orologio da polso con cinturino in cuoio, nacque il mito.

Osvaldo amava osservare il ticchettio delle lancette sui quadranti importanti, soppesarne gli ingranaggi, accarezzare con rispetto le casse perfette, sfoggiare quelle piccole meraviglie di tanto in tanto, ma sempre con una punta di riservatezza. La passione di Osvaldo era così profonda da fargli conservare, per ogni singolo pezzo, scatola originale e certificato di garanzia, rendendo quella collezione di per sé già così importante, un tesoro ricercato e di grande valore.

Quel signore così elegante quanto riservato, possedeva il gusto di chi sa apprezzare il bello e ne coltiva le sue molteplici forme: i suoi orologi erano il suo vezzo, ma soprattutto erano il suo personalissimo modo di custodire il tempo.

Un tempo che è rimasto ai posteri, e in particolare a coloro che hanno partecipato all’asta straordinaria voluta dagli eredi di Osvaldo.

Nomi altisonanti, come Baume & Mercier, Vacheron Constantin, Jaeger LeCoultre, Rolex, sono stati aggiudicati a nuovi contemplatori del bello, traghettando idealmente quel tempo straordinario che, sebbene fuggevole per definizione, rallenta magicamente tra lancette, quadranti, rubini, meccanismi, molle e tourbillon.

Un importante traguardo si raggiunge con tenacia

Pour ce qui est de l’avenir, il ne s’agit pas de le prévoir, mais de le rendre possible

Riguardo il futuro, non si tratta di prevederlo, ma di renderlo possibile

 Antoine de Saint-Exupéry

 

Questo anno che si chiude per noi è speciale.

Siamo arrivati a Genova 20 anni fa, artefici di un mestiere che in Italia non esisteva, fautori di un legame con la Francia e successivamente con il mondo intero che ha annullato o quasi le distanze geografiche, e orgogliosamente attori in prima linea con una città considerata oggi il simbolo di un nuovo risorgimento italiano.

Dal 1894 a oggi, la storia di Coutot-Roehrig è quella di un albero che ha messo radici profonde, che ha reso possibile la crescita di una foresta e che ha portato l’eccellenza nel campo della ricerca di eredi.

Ci hanno definito gli Indiana Jones degli alberi genealogici, gli esperti investigatori di archivi, i perfetti James Bond dei lasciti: a noi piace definirci semplicemente pionieri, coloro che per primi hanno tracciato una strada dove prima non c’era nulla, ricucito strappi generazionali apparentemente irrisolvibili, e ricongiunto famiglie divise dagli scherzi del destino.

Storie di vita straordinarie, patrimoni importanti, e vicende intricate ci hanno fatto fare il giro del mondo: ogni volta abbiamo portato la nostra professionalità, la nostra passione e la forza di una grande équipe.

Ed è per tutto questo che abbiamo celebrato i nostri primi vent’anni dando un valore al nostro percorso che fosse di buon auspicio, con la Cena di Gala al Chiostro dei Canonici della Cattedrale di San Lorenzo, a Genova.

Insieme abbiamo fatto tanta strada, ma soprattutto abbiamo reso possibile il futuro, che affrontiamo con rinnovato entusiasmo.

Buone feste!

Nadia Spatafora