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La collezione di vinili: l’eredità di Sara

Alba, mezzodì, pomeriggio e tramonto.

Siamo partiti così, a misurare il tempo, osservando il sole.

Poi siamo passati ai cicli della Natura, estate, autunno, inverno e primavera.

Il tempo è un concetto astratto che da sempre affascina l’uomo: analizzato, sezionato, calcolato, misurato, ma sempre libero.

Tra le forme d’arte più popolari la musica rappresenta quella più antica e, prima ancora che l’uomo facesse la sua comparsa sulla Terra, aveva già il suo spazio nell’universo: cinguettio degli uccelli, versi di animali selvatici, fischio del vento, rumore delle onde sugli scogli, ticchettio delle gocce d’acqua sulle foglie.

Chissà se il primo uomo ha mai provato a battere le mani o i piedi sulla terra, per accompagnare quei suoni: forse il ritmo è nato così.

E da lì a una sequenza armonica di note il salto è infinitesimale, comparato alla storia del mondo, ma brevissimo se rapportato alla presenza dell’uomo su questo pianeta.

La straordinaria impresa di catturare letteralmente i suoni e le voci nel primo fonografo, deve averci dato l’impressione, in un qualche modo, di poter possedere il tempo, e forse ad affascinare così tanto Sara può essere stata proprio la sensazione di avere tra i suoi vinili un tesoro sempre a disposizione.

Primogenita di una famiglia benestante di Torino, Sara cresce accumulando tra i suoi ricordi più belli, quelli delle domeniche in cui il padre spolvera il giradischi meticolosamente, estrae dalla carta un poco sciupata il vinile della Madama Butterfly di Puccini o della Traviata di Verdi, e appoggia quella puntina miracolosa centrando perfettamente il solco, sorridendo ogni volta al suo rumore sordo e al leggero sibilo prima che parta il primo pezzo.

C’era una sorta di magia in quel rito, che Sara cercherà di ripetere per tutta la vita, e per lei non esisterà musica più bella di quella, anche se crescendo la sua collezione personale di dischi diventa interessante: inizia a scoprire i cantautori italiani, gli artisti che diventeranno i grandi classici della musica italiana, i musicisti stranieri e le band che hanno segnato un’epoca.

Non si era fermata a uno stile in particolare, ma non poteva rinunciare a quel gesto: spolverare il giradischi, sistemare il vinile, abbassare la puntina, e sedersi in poltrona sorridendo.

Sara si sposa con Giulio, inizia una nuova vita nell’attico con la grande terrazza fiorita che guarda dritta la Mole Antonelliana; ed è proprio da quella meraviglia di bosco sospeso che in certe sere d’estate e nei pomeriggi domenicali, arrivano le note di Puccini, Verdi, De André, il Quartetto Cetra, i Beatles e Luigi Tenco.

Giulio muore piuttosto giovane, in un tragico incidente, e forse Sara senza i suoi dischi non sarebbe riuscita ad affrontare quella lunga e dolorosa assenza, non avendo avuto nemmeno il tempo di progettare un figlio.

L’ha trovata la domestica, un lunedì mattina di inizio settembre, seduta sulla terrazza ancora fiorita, l’immancabile plaid sulle gambe, un sorriso di pace sul volto, e le note del coro muto della Butterfly.

Se n’era andata la signora della musica, si bisbigliò per un certo periodo nei negozi e sui balconi vicini, e per molto tempo si sentì la mancanza delle note che faceva risuonare tra le mura dei vecchi palazzi.

Gli esperti di Coutot-Roehrig, rintracciati i lontani cugini che vivevano in Svizzera, al momento dell’inventario dei beni di Sara non sono rimasti indifferenti alla collezione dei vinili, tra i quali anche quelli del padre.

ita e il cui sapore, irresistibile e terribilmente romantico, è l’espressione di un’esperienza musicale a molti sconosciuta.

“La vita sceglie la musica, noi scegliamo come ballarla”

John Galsworthy

L’inossidabile fascino del fumetto

L’immediatezza del disegno, semplice o ricco di dettagli, bianco e nero o a colori, e la magia delle storie raccontate e dei suoi personaggi, si legano indissolubilmente in una passione che spesso ha il sapore dell’infanzia, il batticuore dell’attesa, e il profumo della carta stampata.

Il fumetto accompagna i bambini e li fa rimanere tali, anche quando crescono e diventano uomini.

La realtà è che in quelle strisce che sembrano prendere vita, pur nella loro innegabile bidimensionalità, si scavalcano idiomi, si riducono distanze, si colmano solitudini e, talvolta, si acquietano paure.

Negli anni 60 si cresceva a fette di pane imburrato e avventure sui fumetti, con personaggi destinati a diventare dei beniamini, come Rin Tin Tin, Topolino, il signor Bonaventura, Sor Pampurio, Felix, Tex Willer e Tiramolla.

Guido era cresciuto così, diviso tra scuola, compiti e pomeriggi seduto sui gradini di casa, con un fumetto sulle ginocchia sbucciate, regalo del padre per essersi comportato bene: gli occhi sgranati sui tratti veloci, le dita a sfogliare con cura ogni pagina cento mille volte e la fantasia che galoppava senza confini.

Da piccolo lettore appassionato, Guido divenne, con gli anni, un vero e proprio collezionista, continuando a onorare quell’appuntamento settimanale a cui suo padre aveva dato il via, e realizzando una raccolta che, sebbene non preziosa, lo seguì nella sua casa di giovane sposo.

Brillante e impegnato imprenditore, Guido trovò sempre il tempo per sfogliare almeno uno dei suoi fumetti, tornando ogni volta a essere quel bambino con le ginocchia sbucciate, dalla risata spensierata e l’animo leggero.

Un giorno d’inverno, improvvisamente e inaspettatamente, la moglie Luigia lo lasciò.

Nemmeno il tempo di comprendere il dolore di quella perdita, e Guido la raggiunse.

Ebbero una vita intensa, senza figli, fatta di complicità e di un delicato equilibrio: quando Luigia si dedicava alle sue rigogliose piante, Guido si chiudeva nello studio e apriva un fumetto.

Gli esperti di Coutot-Roehrig si resero immediatamente conto di trovarsi in un piccolo mondo antico, che silenziosamente parlava di quei pomeriggi con la testa tra le nuvole, di occhi sgranati e di fette imburrate.

Perché spesso il valore di un’eredità sta nella personalità di chi se n’è andato: e Guido, in quella collezione apparentemente così infantile, ha lasciato di sé lo spessore di un uomo che sapeva tornare bambino, anche da anziano.

Angela

Angela e la sua collezione di vini

«Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro, un buon amico»

Molière

Immaginate di compiere un viaggio, attraverso paesaggi diversi, fatti di natura, di persone, di tradizioni e di stagioni, seguendo una geografia olfattiva.

I profumi di un vino possono fare questo e altro.

Lo sapeva bene la signora Angela, che proprio nel vino aveva riposto le attenzioni di una vita, realizzando una collezione fatta di etichette pregevoli e di annate particolari: una cantina interessante, non eccezionale, ma sicuramente espressione di una passione verace e di una cultura non indifferente.

Sposata con un signore della Torino bene, la signora Angela avrebbe potuto collezionare abiti di alta sartoria o gioielli raffinati, ma decise che il valore della convivialità fosse di gran lunga superiore a quello intrinseco di un oggetto qualsiasi.

Cominciò ad appassionarsi ai vini della zona piemontese, imparando a riconoscerne i sentori, i vitigni, le caratteristiche che mutavano in base alle annate, poi i suoi interessi si estesero, grazie alla tipica curiosità che anima le menti brillanti, al mondo, desiderosa di scoprirne le meraviglie.

La piccola vetrina dove tenere alcune etichette da degustare e la cantina con la giusta umidità dove collezionare i piccoli capolavori provenienti da più parti d’Italia, furono il passo successivo: luoghi dove entrare in punta di piedi, quasi per non disturbare il sonno di alcuni vini, dove accarezzare con rispetto le bottiglie più pregiate e infine dove attingere per condividere quel mistero così antico con gli amici più cari.

Rimasta sola dopo la dipartita di Giuseppe, suo marito, la signora Angela ha continuato a viaggiare nella sua cantina ricordando i bei tempi che furono, le serate in compagnia e le feste con le tavole imbandite, fino a quando anche per lei, è giunto il momento di andare.

Agli eredi, i genealogisti di Coutot-Roehrig, hanno consegnato la chiave della cantina con i suoi vini e i suoi ricordi: piccolo ma pulsante luogo del cuore della signora Angela.

La vita spesso apre delle parentesi per poi chiudere dei cerchi: in questo caso uno dei nipoti della signora non solo possedeva una cascina, ma di mestiere faceva il viticoltore.

Il suo sguardo, alla vista di quella cantina, deve essersi illuminato e a noi piace pensare che la signora Angela riposi serena, tranquilla per le sorti della sua collezione.

Il collezionista di libri. La storia di Carlo

La lettura è una immortalità all’indietro, diceva Umberto Eco, e chi legge si ritrova a 70 anni ad avere vissuto almeno 5000 anni: c’era quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito, quando Caino uccise Abele. Questa é la storia di Carlo: il collezionista di libri.

Leggendo, il tempo di vivere si dilata, come direbbe Daniel Pennac, e Carlo, da bambino, ricevette dai suoi genitori il regalo più prezioso, quello che gli avrebbe permesso di vivere non una ma cento, mille vite: la passione per i libri.

Intraprende così un viaggio straordinario, che lo accompagnerà per tutta la sua esistenza e che lo porterà non solo ad affinare i propri gusti, ma a realizzare una collezione importante di circa 300 volumi, molti dei quali manoscritti del 600 e del 700.

Una biblioteca personale, privata, curata con il rispetto che si riserva agli oggetti d’arte e che a un certo punto si è arricchita grazie alla famiglia della consorte, animata dalla stessa passione.

Carlo ha trascorso molte ore nel suo mondo segreto, varcando probabilmente la porta in silenzio, godendosi la visione di tutti quei volumi ben riposti, decidendo poi quale consultare, non senza essersi infilato meticolosamente i guanti in filo di cotone per sfogliare pagine delicate e preziose.

Dopo aver messo il volume sul leggio, quello al centro della stanza, sotto alla lampada in ottone e vetro, avrà quindi inforcato gli occhiali dopo averne pulito per bene le lenti, e avrà iniziato uno dei suoi tanti viaggi tra le parole scritte dei suoi amati libri.

Un rituale meticoloso, come quello di colui che si prepara a un appuntamento galante, tenendo a freno le emozioni, quasi che in quell’attesa si nascondesse il vero segreto del piacere della lettura e della contemplazione.

Carlo rimane prima da solo, trovando forse conforto nella sua collezione, poi termina anche lui la sua esperienza terrena.

Grande la sorpresa di chi ha effettuato le perizie patrimoniali, scoprendo questo luogo atemporale così ricco di fascino e di cultura, ma ancora più grande lo stupore di uno degli eredi rintracciati dai professionisti di Coutot-Roehrig, che con il lontano cugino condivideva, inconsapevolmente, questo amore per i libri.

Ed è così che la collezione ha trovato mani altrettanto cortesi e disposte a preservare quel tesoro che Carlo, con grande passione, aveva creato e custodito.

Dietro le quinte della ricerca genealogica - Seconda parte

Dietro le quinte della ricerca genealogica – Seconda parte

Dietro le quinte della ricerca genealogica – Seconda parte

Caterina.

Partire da un nome e da un paio di date per ricostruire le origini di una persona potrebbe risultare molto complesso, ma non per un genealogista, avvezzo a percorrere strade spesso nascoste arrivando tracciare nuovi cammini, saltellando tra le regioni ma, soprattutto, giocando con la linea del tempo.

 La storia di Caterina, vissuta a Torino, si era fermata per un attimo a Pietra Ligure, paese di origine della madre, che però, a sua volta, aveva una storia interessante alle spalle.

 Ricostruendo minuziosamente la linea materna, si scopre così che la nonna materna di Caterina era una delle poche sopravvissute della sua famiglia, famiglia il cui padre era giunto sulle coste del Tirreno partendo dalla campagna vicentina. A questo punto sorge spontanea la domanda: perché, in un’epoca in cui le famiglie erano piuttosto numerose, qui si parla di “sopravvissuta”? E poi, perché il Veneto?

 Un bravo genealogista, oltre a ricostruire i legami di parentela, non deve perdere di vista il contesto storico della ricerca sulla quale sta lavorando, deve saper collocare i rami genealogici nel terreno dei grandi eventi, quelli in grado di modificare un’intera generazione, per intenderci.

 E con Caterina, o meglio con la famiglia della nonna materna, ci si colloca già nel pieno dell’800, un secolo che, tra le guerre e la nascente industrializzazione si concluse con la Grande Guerra combinata alla pandemia di spagnola, la Grande Influenza che tra il 1918 e il 1920 uccise tra i 50 e 100 milioni di persone in pochi mesi.

 Questo spiega, probabilmente, la migrazione di quell’avo dalla campagna veneta alle coste liguri, e ai loro porti, alla ricerca di una condizione di vita migliore. Da un lato il lavoro, dall’altro la guerra. Se la Guerra si faceva al fronte, la spagnola non ha certo fatto distinzione tra luoghi, generazioni o sesso … e tra le vittime si contano anche alcuni membri della famiglia della nonna materna di Caterina. Per questa ragione, qualche paragrafo più in alto, abbiamo parlato di “sopravvivere”.  Di un’intera famiglia che vedeva 12 nascite, solo 2 sono arrivate all’età adulta: una di queste era proprio la nonna di Caterina, l’altra era la nonna dei suoi legittimi eredi.

 Questi macro-eventi della storia hanno avuto forti conseguenze nelle famiglie di tutto il continente (ma non solo) e sono oggi ancora riconoscibili negli alberi genealogici: con gli uomini che perivano sul fronte e le donne che non sopravvivevano alla pandemia, anche alcuni bambini non diventavano mai grandi.

 Difficilmente, ma non di rado, è necessario risalire al sesto grado di parentela per trovare degli eredi viventi come nel caso di Caterina, ristabilendo legami andati perduti, sepolti e dimenticati, soffiando via la polvere del tempo, silenziando gli echi delle guerre, ma, soprattutto, riportando alla luce uno spaccato di un’epoca per tanti letteralmente sconosciuta.

 Questo è il lavoro del genealogista, abile funambolo sul vuoto spaventoso del tempo e guardiano discreto dei segreti di intere generazioni.

Coutot-Roehrig a Studio Aperto Mag

il 23 febbraio é andato in onda su Studio Aperto Mag alle ore 19.00 un servizio su di noi.

“Da oltre 20 anni vanno a caccia di eredi, persone che non sapevano di avere un parente ricco. Grazie a loro possono entrare in possesso di un’eredità alla quale non sospettavano nemmeno di avere diritto.”

Ringraziamo il giornalista Alberto Pastanella, il regista Luca Stegani e tutta la redazione di Studio Aperto per aver dedicato un servizio alla nostra professione, mirato a far comprendere in che cosa consista davvero il nostro lavoro giornaliero e quanto questo, spesso, si mescoli alla storia. Ricostruire un albero genealogico in maniera meticolosa ci porta a conoscere a fondo le radici dei nostri eredi, ma ci fa rivivere anche i contesti storici del passato che inevitabilmente hanno influenzato le loro vite.

 

Grazie per aver trasmesso, attraverso questo servizio, la passione che mettiamo ogni giorno nel restituire i beni preziosi (anche sentimentalmente preziosi) di chi ci ha lasciati, ai loro legittimi famigliari.

 

Clicca sull’immagine per il servizio completo!

Dietro le quinte della ricerca genealogica – Prima parte

Dietro le quinte della ricerca genealogica – Prima parte

Nel 1084, sul massiccio francese delle Prealpi della Chartreuse, fu costruito il primo monastero certosino, la Grande Chartreuse, per volontà di san Brunone, un monaco cristiano tedesco.

La cura, il silenzio, la solitudine, e nel contempo la grandezza e la bellezza dei monasteri, diventarono i tratti distintivi di un ordine, quello certosino, che ha lasciato eredità straordinarie, a partire dalla celebre razza di gatto, all’elisir digestivo, fino alle miniature conosciute in tutto il mondo per la loro precisione, e da cui deriva l’origine dell’aggettivo certosino, quale sinonimo di meticoloso, paziente, minuzioso.

E come definire, se non certosino, l’ineccepibile lavoro di ricostruzione del genealogista, che con esattezza, cura puntuale, profonda conoscenza e spiccato intuito, ricostruisce le miniature generazionali di intere famiglie, alla ricerca degli ultimi eredi rimasti in vita? Non può non sfuggire un evidente parallelismo tra la grandiosità dell’operato dei monaci certosini e quella dei nostri esperti genealogisti, che non di rado scavalcano confini, infrangono barriere temporali, attraversano eventi epocali, e alla fine mettono l’ultima pennellata alla miniatura che pazientemente hanno realizzato.

Esemplare, in questo senso, è la storia di Caterina, deceduta senza lasciare eredi, figlia di sola mamma, come si usava definire allora i figli naturali non riconosciuti dal papà.

Chi si è occupato pazientemente di ricostruire l’albero genealogico di Caterina è dovuto partire unicamente dal nome e dal cognome della madre, e da due date, la nascita e la morte, inserendo questi pochi dettagli in un contesto storico culturale peculiare.

Un percorso a ritroso, alla ricerca di un indizio che portasse a un altro indizio, partendo da Torino, dove Caterina ha vissuto, per passare da Pietra Ligure, terra di nascita della madre, brancolando ad un certo punto  nel buio per la  mancanza di registri comunali, che esistono dal 1860 e non prima, e andando a consultare i registri parrocchiali, che grazie al Concilio di Trento avevano l’obbligo di annotare tutti le nascite e i decessi dei propri fedeli.

E così che partendo da Caterina, si procede a ricostruire la storia della madre, Maria Luisa, che dopo la nascita della bimba, resta a vivere nel suo paese, Pietra Ligure, e si sposa con un uomo che seppure per un breve periodo, rappresenta per Caterina l’unica figura paterna.

La nostra Caterina rimane presto da sola: mamma e patrigno decedono purtroppo prematuramente.

Bisogna andare più indietro, dove i contatti si diradano, scoprire la storia dei nonni materni, cercare il nodo preciso dove qualcosa si è spezzato e perché, seguire le ramificazioni di famiglie povere, semplici, che spesso lasciavano i paesi di origine in cerca di fortuna, dove i figli erano numerosi quanto la mortalità che li falcidiava e infine dove solo una pazienza certosina può oggi districarsi per scoprire la verità.

Cosa scopriranno i genealogisti sulle lontane origini di Caterina?

20 anni di Genova

2001 – 2021 Vent’anni di Genova

Genova, 16 dicembre 2021 – Chiostro dei Canonici di San Lorenzo

Ci hanno definito gli Indiana Jones degli alberi genealogici, gli esperti investigatori di archivi, i perfetti James Bond dei lasciti: a noi piace definirci semplicemente pionieri, coloro che per primi hanno tracciato una strada dove prima non c’era nulla, ricucito strappi generazionali apparentemente irrisolvibili, e ricongiunto famiglie divise dagli scherzi del destino. Sono passati 20 anni dal nostro arrivo a Genova, prima sede della nostra storia in Italia, artefici di un mestiere che in qui non esisteva, fautori di un legame con la Francia e successivamente
con il mondo intero che ha annullato o quasi le distanze geografiche, e orgogliosamente attori in prima linea con una città considerata oggi il simbolo di un nuovo risorgimento italiano.

Abbiamo deciso, così, di festeggiare questa ricorrenza insieme ai nostri amici e a tutti i professionisti che in questi anni ci hanno seguiti e che ringraziamo con tutto il cuore.

Speriamo sia stata una piacevole serata indelebile nei vostri cuori così come nei nostri!

Au revoir!

 

La collezione del tempo

La collezione del tempo: la collezione di Osvaldo

Gandhi amava ripetere che noi occidentali abbiamo l’ora, ma non abbiamo mai il tempo.

Così astratto e così prezioso quando non sembra mai abbastanza, così invadente e soffocante quando invece si dilata e non passa mai: fugge inesorabile, si adagia implacabile, e l’uomo vi si ribella quasi sempre in maniera fallace.

Solo in un’occasione vince: quando lo misura con pazienza, lasciando che scorra senza porvi ostacolo, sempre con l’illusione di averlo intrappolato (per sempre) in scatole preziose.

Il primo orologio da polso fu inventato alla fine del XIX secolo da Patek Philippe, inizialmente come accessorio da signora, e fu Alberto Santos-Dumont a chiedere all’amico Louis Cartier un’alternativa più pratica all’orologio da tasca per quando pilotava il proprio aereo. Quando Cartier gli propose il primo orologio da polso con cinturino in cuoio, nacque il mito.

Osvaldo amava osservare il ticchettio delle lancette sui quadranti importanti, soppesarne gli ingranaggi, accarezzare con rispetto le casse perfette, sfoggiare quelle piccole meraviglie di tanto in tanto, ma sempre con una punta di riservatezza. La passione di Osvaldo era così profonda da fargli conservare, per ogni singolo pezzo, scatola originale e certificato di garanzia, rendendo quella collezione di per sé già così importante, un tesoro ricercato e di grande valore.

Quel signore così elegante quanto riservato, possedeva il gusto di chi sa apprezzare il bello e ne coltiva le sue molteplici forme: i suoi orologi erano il suo vezzo, ma soprattutto erano il suo personalissimo modo di custodire il tempo.

Un tempo che è rimasto ai posteri, e in particolare a coloro che hanno partecipato all’asta straordinaria voluta dagli eredi di Osvaldo.

Nomi altisonanti, come Baume & Mercier, Vacheron Constantin, Jaeger LeCoultre, Rolex, sono stati aggiudicati a nuovi contemplatori del bello, traghettando idealmente quel tempo straordinario che, sebbene fuggevole per definizione, rallenta magicamente tra lancette, quadranti, rubini, meccanismi, molle e tourbillon.

L’elegante signora in Chanel

La moda passa, lo stile resta

Coco Chanel

 

Lo sapeva bene Gabrielle Bonheur Chanel, nata in un ospizio per poveri e cresciuta in un orfanotrofio, ma non per questo dotata di uno charme inconfondibile.

L’eleganza è prima di tutto un atteggiamento, un tratto distintivo difficile da acquisire semplicemente con un bell’abito o con un accessorio pregiato.

Incedere con grazia, parlare con gentilezza, lasciare una traccia del proprio passaggio, sono doti che vanno oltre la moda e che, distanti dall’ostentazione, rimangono immutati nel tempo.

Ottavia non aveva origini così umili come Madame Chanel, ma divenne una signora della Torino bene solo in seguito al matrimonio con Giuseppe, brillante imprenditore che la portò a vivere in un bellissimo appartamento a due passi da Via Roma, facendole vivere un lusso che forse aveva solo sognato.

Eppure Ottavia aveva il dono.

Dotata di quello che si definisce physique du rôle, che le permetteva di indossare gli abiti più ricercati con squisita naturalezza e savoir faire, possedeva un innegabile buon gusto che la portò nel corso degli anni a collezionare le migliori firme dell’alta sartoria e accessori raffinati e senza tempo.

Ottavia divenne presto per tutti l’elegante signora in Chanel, benché il suo stile spaziasse anche da Valentino a Gucci, confermando, per dirla alla Yves Saint Laurent, che ciò che è importante in un vestito, è la donna che lo indossa.

L’inclemenza del tempo che scorre, seppure incapace di sottrarre classe a chi ne ha da vendere, colpisce anche chi appare così distante: Giuseppe a un certo punto viene a mancare e Ottavia si trova sola con Adele, la sorella minore che aveva deciso di accogliere a casa perché malata e bisognosa di cure.

Ma a dispetto della malattia, sarà proprio Ottavia a lasciare per prima la vita terrena, seguita solo successivamente da Adele.

Di quell’eleganza e di quel gusto raffinato, rimangono così due cabine armadio ordinate quanto preziose, dove le borse di Chanel fanno eco agli abiti di Valentino, i cappotti di cachemire sorridono alle scarpe di Gucci e i foulard morbidi e impalpabili, portano ancora le essenze discrete dei profumi che la signora Ottavia amava tanto.

Capita, e non di rado, che chi si occupa di lasciti e ricerche genealogiche ritrovi nei tratti degli eredi la sorpresa di una somiglianza fisica, la ridondanza di un atteggiamento o di uno sguardo, e che osservi quindi con rispettoso silenzio quel bizzarro rincorrersi nel tempo di una familiarità molto spiccata.

Nel caso di questa storia, è nelle figlie delle cugine di quinto grado che Coutot-Roehrig ha ritrovato Ottavia: nei gusti nel vestire, nella fisicità sinuosa, negli atteggiamenti.

In una parola: nell’eleganza.

Ed è così che tutti gli abiti e gli accessori, come richiamati di nuovo in vita, sono tornati a far sfoggio di stile e di classe, come il refrain di una antica melodia mai dimenticata.

 

Eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare

Giorgio Armani